Vivere un anno e mezzo in Inghilterra senza spendere un euro

Chiara Fratantonio ha trasformato la sua esperienza in un blog. Spiega come diventare “au pair” in UK e tornare con un inglese fluente

Chiara Fratantonio, 27 anni, ha una Laurea in Filologia Moderna. Una di quelle che a un italiano medio suggerisce, nell’ordine, questi pensieri: «Poverina», «Ma cosa avevi in testa quando hai scelto», «Sai che dovrai raccogliere paghette da nonni, genitori e zii fino ai 40 anni», «E poi, quando saranno tutti morti che farai». Ma lei, nel 2015, in Italia, ha trovato un lavoro che le piace e che le permette di vivere scrivendo. Se ci è riuscita è soprattutto grazie all’anno e mezzo vissuto a Londra, organizzato senza perdere un solo euro.

Chiara è un’expat di ritorno. Per raccontare questa esperienza, e permettere ad altri di farla, ha avviato un blog: Bushey Tales, una guida per aspiranti ragazzi au pair (alla pari) nel Regno Unito. Au pair è chi vive per un certo periodo di tempo in una famiglia, ottiene vitto, alloggio e un piccolo stipendio settimanale in cambio di servizi, che vanno dal curare i figli della famiglia al fare le pulizie in casa e cucinare. È non è solo per ragazze. «In Inghilterra molte famiglie con bimbi o famiglie monoparentali fatte da soli papà chiedono espressamente maschi», spiega Fratantonio. «Non tutti conoscono questa possibilità, oppure non sanno come fare a organizzarla. Il mio blog serve a dare indicazioni utili, indica offerte di lavoro, e contiene il racconto di chi ha vissuto o sta vivendo l’esperienza».

«Cosa avevi in testa quando hai scelto di studiare Filologia Moderna?»

Bushey, da cui il nome del blog, è la cittadella della contea dell’Hertfordshire, a nord di Londra, in cui Chiara ha vissuto e lavorato come baby-sitter per un anno. «Subito dopo la laurea alla Sapienza di Roma ho lavorato per un progetto di e-learning organizzato da Treccani. Il mio entusiasmo era a mille. Un sogno che si realizzava. Ma dopo sei mesi, scaduto il contratto a progetto, ci hanno mandato tutti a casa. Ero così delusa che avevo bisogno di una svolta. Il 31 ottobre è stato l’ultimo giorno di lavoro. Il 4 novembre avevo già una famiglia pronta ad ospitarmi come au pair, ragazza alla pari».

«Ho investito solo i soldi del biglietto di andata. Ho prelevato al bancomat appena arrivata. Poi non ho più toccato i miei risparmi per un anno e mezzo».

Chiara è riuscita ad organizzarsi così velocemente grazie a un’amica che stava già facendo la stessa esperienza, e che era in contatto con la famiglia che avrebbe ospitato Chiara. «Ho investito solo i soldi del biglietto di andata. Ho prelevato al bancomat appena arrivata. Poi non ho più toccato i miei risparmi per un anno e mezzo. Sono riuscita a vivere usando lo stipendio che settimanalmente mi veniva versato».

«Quando sono partita avevo due obiettivi: imparare bene l’inglese e capire cosa fare della mia vita»

Con i soldi che guadagna, Fratantonio frequenta due giorni a settimana una scuola di inglese, E riesce, alla fine dell’anno, ha ottenere un certificato CAE, Cambridge Advanced English. «Lavoravo sette ore al giorno. Mezz’ora al mattino, quando accompagnavo a scuola la mia host bambina (così Chiara chiama la ragazzina che cura nel suo blog, ndr). Poi due orette di lavori domestici. E quattro ore da baby-sitter nel pomeriggio, tra le 4 e le 8». I week-end, Chiara li trascorre a Londra. «In genere, l’au pair nel Regno Unito si occupa solo di lavori leggeri in casa e la paga settimanale media è attorno alle 85 sterline», spiega. Lei era una au pair plus. La sua famiglia le ha proposto di pulire casa, stirare e cucinare. E le ha offerto una paga di 105 pound a settimana.

«Quando sono partita avevo due obiettivi: imparare bene l’inglese e capire cosa fare della mia vita». Entrambi raggiunti. Dopo pranzo, prima che la host bambina torni da scuola, Chiara scopre di avere tempo libero. E inizia a scrivere. Apre il blog Bushey Tales e racconta le sue esperienze. Allo stesso tempo, dà consigli sul mondo che le si apre davanti: come trovare un lavoro da au pair nel Regno Unito, come scegliere la scuola di inglese. «Non tutte le famiglie sono corrette. Le au pair non sono figure regolamentate come le nanny e non godono nemmeno del minimum wage, il salario minimo. Sono tante le agenzie che cercano di approfittarsi di chi vuole fare questa esperienza», racconta. «Bisogna capire se le famiglie cercano stranieri per avere un’esperienza multiculturale, o solo per approfittarsene». È così, raccontando e dando preziosi consigli, che Chiara scopre la passione per la scrittura.

«Finalmente potevo rispondere a tutte le offerte che chiedevano un inglese fluente e che prima avevo sempre scartato»

Dopo un anno, prolunga la permanenza in Inghilterra di altri sei mesi e nel frattempo si offre per lavorare come volontaria in una scuola vicina a casa. Alla fine dei sei mesi la sua responsabile le scrive una bella lettera di referenze. Con il Certificate di Inglese, quella lettera in tasca, e la voglia di continuare a scrivere, Chiara inizia a inviare cv «a tempesta» in Italia. «Finalmente potevo rispondere a tutte le offerte che chiedevano un inglese fluente e che prima avevo sempre scartato», dice.

Cerca posizioni di marketing e scrittura per il web. Torna il 5 luglio e il 7 luglio è il suo primo giorno di lavoro in un ufficio milanese, dopo un colloquio fatto su Skype. È una posizione di stage attraverso cui Chiara intende fare esperienza in campo web e social. Nel frattempo, continua a mandare curriculum. Tre mesi dopo inizia un secondo stage nel dipartimento di marketing e comunicazione di una multinazionale. Sempre Milano, sempre Italia. Settore turistico alberghiero e una buona possibilità che lo stage si trasformi in lavoro. «Mi occupo della produzione di contenuti scritti sia per il sito internet che per i social. Offro supporto nella definizione delle campagne pubblicitarie. Ho anche molti rapporti con i colleghi delle sedi estere, e il mio inglese è fondamentale», racconta Chiara soddisfatta.

«Mi ha scritto un ragazzo pochi giorni fa. È partito dopo aver letto Bushey Tales per mesi. Si è detto felicissimo della scelta fatta»

Bushey Tales è più vivace che mai. Chiara continua a curarlo, risponde alle lettere di chi le scrive, raccoglie le voci di altri au pair partiti per il Regno Unito. Ha stretto accordi con un’agenzia italiana affidabile che offre posizioni da ragazza alla pari. «L’agenzia chiede il pagamento di una quota, ma con due settimane di lavoro riesci a ripagarla e sei più tutelato perché loro selezionano buone famiglie». Chiara ottiene una piccola percentuale sulla quota di iscrizione all’agenzia di ogni persona passata attraverso il suo sito. «Ma non voglio diventare un’agenzia di collocamento. Mi piace solo avere un buon riscontro da chi riesce a fare questa esperienza grazie al mio blog, unico nel suo genere». Come quello avuto da un ragazzo pochi giorni fa. È partito dopo aver letto Bushey Tales per mesi. «Mi ha scritto dicendosi felicissimo della scelta fatta».

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