Alla Leopolda se ne sono dette così tante che, alla fine, uno è anche autorizzato a perdere il senso della realtà. È scusabile, allora, Oscar Farinetti, che dopo essersi augurato che “il Jobs Act venga copiato dagli altri Paesi”, ha suggerito che forse Renzi farebbe bene ad abolire la guerra. Una cosuccia così, insomma. Magari con un emendamento nella legge di Stabilità. Sempre che le opposizioni non si mettano in mezzo.
Il delirio (studiato, studiatissimo) del fondatore di Eataly, che essendo stato unto dal successo commerciale allora è autorizzato – anzi incoraggiato – a dire la sua su qualsiasi cosa, può far sorridere i più cinici, o anche solo le persone normali. Eppure è bene sapere che qualcuno, nel mondo, ci crede davvero nell’abolizione della guerra. E non si parla di John Lennon.
Il Centre for War/Peace Studies, ad esempio, è una organizzazione non profit con sede a New York. Il capo e fondatore è Tad Daley (da non confondersi con Ted Daley, politico repubblicano assai guerrafondaio). “Il mio obiettivo a breve termine è di abolire le armi nucleari. Quello a lungo termine è di abolire la guerra stessa”, ha detto. Politico, studioso, plurilaureato, “pensatore non convenzionale”, secondo il Los Angeles Times. Ha fatto suo il motto di Gene Roddenberry, lo sceneggiatore di Star Trek: “La forza di una civiltà non si misura dalla sua abilità nel combattere le guerre, ma piuttosto nella sua abilità di impedirle”. E non, come fa la Svizzera, soltanto starne fuori.
Se qualcuno non ne fosse convinto, potrebbe leggere le risposte della campagna Abolish War del movimento globale World Beyond War. La guerra, spiegano, “non è naturale”, e “non è una componente inevitabile della nostra cultura”. Un punto di vista interessante. Chi volesse aiutare, può farlo aggiungendo idee e proposte, saranno tutte vagliare. Tra le iniziative possibili, oltre all’abolizione della Cia e delle altre agenzie di servizi segreti, c’è anche l’idea di decorare i disertori.
Il Movimento per l’abolizione della guerra, fondato da sir Joseph Rotblat, anche vincitore del premio Nobel (per la Pace, ça va sans dire), ricorda che “la guerra non è inevitabile”. E allora serve una campagna culturale, per “diffondere la convinzione che abolire la guerra è sia desiderabile che possibile”, “incoraggiare l’utilizzo delle alternative alla guerra per la risoluzione delle dispute nazionali e internazionali”, e “sviluppare materiali e strategie per educare tutti, dai bambini nelle scuole a chi sta al governo”.
Ma si può davvero abolire la guerra? Si può davvero educare i bambini a sostituire lo scontro con atti di altro tipo? Qui ci provano: hanno creato un’iniziativa apposta, che si chiama “#Enough!” per scoraggiare la cultura della guerra. “Invece di combattere, faremo atti di tenerezza”, dice Fatima, una delle alunne. E intanto, lì fuori piovono le bombe. Perché si trovano a Kabul.