Silicon Valley, Boston, Tel Aviv e Singapore: sono gli hub dell’innovazione riconosciuti nel mondo. E sono i luoghi dove saranno spediti per sei mesi 240 tra studenti universitari e ricercatori italiani nei prossimi tre anni. Lo scopo? Superare la retorica sulla fuga dei cervelli e lasciare che gli studenti siano “innestati”: in modo da imparare il meglio dalle grandi aziende tech globali, riportare almeno un’idea innovativa in Italia e poi scegliere se accettare un’offerta da un’impresa italiana oppure fermarsi all’estero. È il senso del progetto “Go for IT”, approvato il 23 dicembre dal Cipe. Costo del programma: 3 milioni di euro in tre anni, per 40 studenti e ricercatori coinvolti a semestre.
«È il seguito operativo della visita di Matteo Renzi in Silicon Valley» (il 23 settembre 2014, ndr), spiega Alessandro Fusacchia, 37 anni, capo di Gabinetto al ministero dell‘Istruzione (Miur), da dove è arrivato dopo aver lavorato alla Farnesina e al ministero dello Sviluppo economico. Allora il discorso del premier fu proprio incentrato sul fatto che non ci si dovesse più stracciare le vesti se i ragazzi andavano a lavorare in luoghi come la Silicon Valley, perché avrebbero creato connessioni che sarebbero tornate utili all’Italia.
«Sono tutti tasselli di una policy che cominciano a incrementare la rilevanza internazionale del Paese – dice Fusacchia -. Il meccanismo è stato pensato per superare i meccanismi novecenteschi e superare termini come “fuga dei cervelli”. Sono pratiche di “innesto” di alcune capacità che sono presenti in questi luoghi innovativi, con l’idea di costruire degli ecosistemi locali».
«Il meccanismo è stato pensato per superare i meccanismi novecenteschi e superare termini come “fuga dei cervelli”. Sono pratiche di “innesto” di alcune capacità che sono presenti in questi luoghi innovativi»
Finito il semestre all’estero, gli studenti dovranno scrivere un progetto riportando quello che hanno imparato. Riceveranno delle offerte, o di stage o di lavoro, da parte di imprese italiane. Ma non ci sarà nulla di vincolante. «Superiamo anche le solite parole d’ordine di “giovani” e “merito” e sostituiamole con “mobilità” e “ospitalità” – aggiunge Fusacchia -. Noi parliamo di individui ma stiamo parlando anche di comunità: se anche gli studenti rimangono all’estero, saranno delle avanguardie, delle teste di ponte, delle connessioni neuronali che aumentano il potenziale di sviluppo nella filiera della conoscenza. Saranno una potentissima leva per lo sviluppo e uno degli effetti collatareli riguarderà la diplomazia culturale: qualsiasi cosa che metta in relazione comunità culturali nei vari Paesi avrà effetti positivi».