Il dubbio, se di dubbio si trattava, è stato risolto. Il Jobs Act vale anche per i nuovi assunti della pubblica amministrazione. Anche loro avranno quindi licenziamenti più facili, come prevede l’articolo 18 riformato dalla nuova legge sul lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24157 del 2015, mettendo chiarezza in un dibattito che vedeva contrapposti da un lato il governo e il ministro della Pa Marianna Madia, sostenitori della non applicabilità del Jobs Act ai dipendenti pubblici, dall’altro giuslavoristi ed economisti che sostenevano il contrario. Secondo i giudici della Cassazione, lo Statuto dei lavoratori riformato dalla legge Fornero deve essere applicato al pubblico impiego. La stessa cosa dunque potrebbe valere per le nuove norme contenute nel Jobs Act.
Nei testi della nuova riforma del lavoro non viene specificato nulla in merito all’esclusione dei lavoratori della pubblica amministrazione dalle nuove norme contrattuali. La regola, quindi, è che vale la legislazione sul lavoro vigente, cioè il Jobs Act, come aveva già precisato il senatore Pietro Ichino a Linkiesta. È scritto anche nel Testo unico sul pubblico impiego, ricordava Ichino: in mancanza di specificazione, le norme vigenti sono valide per tutti. Significa che anche i nuovi contratti a tempo indeterminato del settore pubblico, come per il privato, sono a tutele crescenti, con l’articolo 18 alleggerito.
Secondo i giudici della Cassazione, lo Statuto dei lavoratori riformato dalla legge Fornero deve essere applicato al pubblico impiego. La stessa cosa dunque vale per le nuove norme contenute nel Jobs Act
La ministra della Pubblica amministrazione Marianna Madia più volte ha ripetuto che così non è e che si sarebbe fatta chiarezza nella riforma della pubblica amministrazione. «Ritengo comunque che il reintegro sul posto di lavoro, per un dipendente pubblico licenziato per motivi disciplinari, debba essere sempre possibile», aveva detto la ministra al Foglio. La stessa cosa ha detto, anche nella conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, aprendo un acceso dibattito con Ichino. E pure il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha dichiarato: «Tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato e quindi non è applicabile al pubblico impiego». Ma anche nella riforma della Pa che porta la firma del ministro Madia non si trova nessun riferimento al fatto che i dipendenti pubblici siano esentati dal Jobs Act.
Così a far chiarezza è intervenuta la Cassazione. La vicenda parte dal licenziamento di un dirigente di un consorzio pubblico siciliano, dichiarato illegittimo in giudizio perché stabilito da un solo componente dell’ufficio disciplinare. L’ente pubblico ricorrente chiedeva però anche di pronunciarsi sull’estensione del nuovo articolo 18, modificato inizialmente dalla legge Fornero, ai dipendenti pubblici. E in caso di risposta negativa, chiedeva di rivolgersi anche alla Corte costituzionale in merito alla disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati.
I pochi nuovi assunti nella pubblica amministrazione dal 7 marzo 2015 in poi potranno quindi essere licenziati senza obbligo della reintegra e risarciti con una indennità. Questo vale in teoria anche per i 100mila nuovi insegnanti assunti con la Buona scuola
La risposta della Cassazione, pur rigettando il ricorso, è stata tutt’altra che negativa: «È innegabile – infatti – che il nuovo testo dell’art.18 della legge n. 300/70, come novellato dall’art. 1 legge n. 92/12, trovi applicazione ratione temporis al licenziamento per cui è processo e ciò a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge c.d. Fornero». I giudici citano poi il Testo unico sul pubblico impiego, che prevede che lo Statuto dei lavoratori, con le sue “successive modificazioni e integrazioni – si applichi anche – alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”. Tradotto: non serve né l’intervento della Corte costituzionale né quello di una nuova norma. L’articolo 18 modificato deve essere esteso anche al pubblico impiego.
Se l’articolo 18 riformato dalla legge Fornero si estende al pubblico impiego, la stessa cosa quindi vale per il Jobs Act. I pochi nuovi assunti nella pubblica amministrazione dal 7 marzo 2015 in poi (dall’entrata in vigore del decreto sulle tutele crescenti) potranno quindi essere licenziati senza obbligo della reintegra – tranne nei casi di licenziamenti discriminatori e di alcuni licenziamenti disciplinari – e risarciti con una indennità. Che dovrà essere pagata, in questo caso, dalle casse dello Stato. Questo vale anche per i 100mila nuovi insegnanti della Buona scuola. Anche per loro, dopo un periodo di prova di tre anni, dovrebbero valere le regole del contratto a tutele crescenti.