Temuta ed odiata da una gran parte degli studenti di tutto il mondo, la matematica è – ahimè – anche alla base della finanza. Quando si investe non ci sono trucchi e non ci sono scorciatoie, ma al tempo stesso ci sono invece precise “leggi” matematiche che “governano” i rendimenti degli investimenti: se non le si controllano, possono causare perdite inattese.
La prima lezione riguarda un tema solo apparentemente banale: il calcolo percentuale. La percentuale non è altro che uno strumento matematico di uso comune che descrive la grandezza di una quantità rispetto ad un’altra. Più precisamente, la percentuale è una delle possibili rappresentazioni numeriche del rapporto tra due quantità (a e b), in cui una (a) viene espressa in centesimi (centesime parti) dell’altra (b); operativamente si ottiene moltiplicando per 100 il quoziente (a/b) della divisione tra le due quantità.Ne consegue, anche per i meno ferrati, che la quantità (b) è l’elemento chiave, sia per il calcolo della percentuale stessa, sia per rendere due percentuali confrontabili.
La banalità del concetto è spaventosa, ma l’implicazione finanziaria lo è ancora di più. Se io investo 100 euro, e perdo il 10% avrò 90 euro. Quindi (b), che era 100, adesso è 90. Di conseguenza, se il giorno seguente il mio investimento recupera il 10%…io avrò 99. In altre parole, sarò ancora in perdita! Esasperiamo il concetto: ho investito 100 euro in azioni 5 anni fa. Il valore attuale è 50: perdo il 50%. Ma quanto devo recuperare per tornare a 100 euro? Il 100%! Ovvero il doppio, “percentualmente”, di quanto ho perso. Vediamone due implicazioni pratiche.
La prima: l’unica strategia matematicamente efficace in Borsa, è avere tante piccole perdite e pochi grossi guadagni. Lo abbiamo appena visto: ogni posizione in perdita, necessita di una variazione percentuale superiore per tornare in guadagno. Maggiore sarà la perdita, maggiore sarà quindi la performance necessaria per recuperare: il che potrebbe essere nettamente in contrasto con il fatto che se la posizione è gravemente in perdita, una causa oggettiva dovrebbe esserci. Mediare il prezzo al ribasso, classica tecnica (suicida) del risparmiatore italiota, diventa quindi un’arte: se il prezzo continua la sua discesa, la base (b) della percentuale è amplificata, perciò sto irrimediabilmente peggiorando la situazione. Se il prezzo invece recupera, con una base (b) superiore, avrò bisogno di meno performance per recuperare – certo: il che potrebbe essere nettamente in contrasto con il fatto che se la posizione è gravemente in perdita, forse non sono proprio un mago nella scelta del punto di ingresso.
La seconda implicazione è più sottile, ma molto più frequente: ogni qualvolta pago commissioni di ingresso in un investimento, parto “zavorrato”: investo 100 euro, pago il 3% di commissioni, l’effettivo capitale investito è 97. Torniamo alla domanda da un milione di dollari: se il mio investimento fa il 3%, torno in pari? Ovviamente no: sono a 99,91. Maggiori saranno le commissioni che pagherete, implicite od esplicite, maggiore sarà la performance necessaria per riportare gli investimenti fuori dalla zona di perdita. Per rovinarvi la giornata: il 3,1% necessario per tornare in pari, deve ovviamente essere il rendimento già al netto delle commissioni annue..quindi 4/4,5% lordo.
Come se non bastasse, anche il Fisco sfrutterà la matematica a vostro sfavore. Le plusvalenze saranno infatti tassate a partire dal valore di carico, ovvero 97: di conseguenza, se io ottenessi semplicemente indietro i miei 100 euro…dovrei comunque pagare il 26% sui 3 euro di guadagno da 97.
L’unica strategia matematicamente efficace in Borsa, è avere tante piccole perdite e pochi grossi guadagni
La seconda “legge matematica” è il potentissimo effetto degli interessi composti.
Il concetto è, come sempre, banale: io investo 100 euro al 10% di interessi per un anno. Dopo un anno, mi troverò quindi con 110 euro. Se io riuscissi a fare il 10% anche l’anno successivo, non mi troverò con 120 euro, ma con 121: l’euro aggiuntivo non sarà altro che il 10% di 10 euro, ovvero gli interessi degli interessi. Basta avere una calcolatrice, o un foglio di lavoro davanti, per verificare che se io facessi il 5% all’anno per 10 anni, non mi troverò il 50%, ma il 63% di denaro in più.Apparentemente, questo concetto sembra favorevole per gli investitori: un rendimento positivo, anche contenuto, ma costante, produce un effetto esponenziale sul risultato finale. Questa è la leva commerciale alla base della diffusione delle polizze vita, a gestione separata, in Italia: la motivazione alla base è corretta, basta solo tenere a mente quanto detto prima sul tema dell’incidenza dei caricamenti, o commissioni, iniziali sul risultato finale dell’investimento.
Lo stesso effetto, che in questi esempi è positivo, diventa irrimediabilmente pericoloso negli strumenti “a leva”. Si sono infatti diffusi negli anni strumenti come ETF, Certificate e CFD, che incorporano l’effetto leva: nient’altro che un modo per amplificare le variazioni percentuali di un indice/strumento sottostante.
Se io acquisto un Certificate, a leva 2, sull’indice XYZ, ad esempio, ciò che otterrò sarà due volte la performance dell’indice XYZ. O almeno questo è quello che penso di aver acquistato. In realtà ciò che ottengo, è ogni giorno il doppio della variazione percentuale giornaliera. Supponiamo che un indice faccia +3% per 4 giorni consecutivi. Il mio rendimento complessivo sarà 12,55%. Con uno strumento a leva 2, otterrò 26,25%, non il 25,1% che mi sarei atteso: questo perché l’effetto degli interessi composti si mischia con il concetto di variazione percentuale espresso in precedenza. Provare per credere.
Ese la successione delle variazioni non dovesse essere “lineare”, sempre positivo come nell’esempio, cosa succede all’investimento? Dipende. Si deve tenere a mente, ad esempio, che se investo i famosi 100 euro, l’indice fa +3% per 3 giorni consecutivi, ma -9% il quarto giorn, il mio investimento sarà negativo. E il tutto, semplicemente, sarà dovuto sempre alla ormai famosa quantità (b) su cui è applicata la percentuale.
Ovviamente, maggiore sarà la leva applicata – cinque, sette volte la performance -, e maggiore il tempo di detenzione dello strumento, maggiore sarà la differenza di rendimento rispetto al rendimento dell’indice sottostante su cui saranno calcolate le performance. È la matematica, bellezza.