“Green Economy: solo chi controlla la finanza può salvare il pianeta“

«I tassi bassi sono anticorpi alla distruzione ambientale. Le prossime scommesse saranno “verdi” e post-idrocarburiche. La salvaguardia dell’ambiente diventerà una nuova arma di controllo e un asset strategico». I protagonisti de “I Diavoli” di Guido Brera escono dal romanzo e raccontano la finanza

La prima luce del giorno si appiattisce fra gli alberi. I rami guadagnano spessore, le foglie si accendono. Ogni elemento perde la vaghezza indistinta che aveva nel buio. Il suono del silenzio si mischia a remoti fruscii.

La Terra ruota attorno al sole, il giorno segue la notte, l’autunno segue l’estate. L’entropia detta mutamenti e trasformazioni.

Una foglia si stacca, rotea nell’aria, mi cade vicino. Scende nell’anonimato delle altre foglie, piegata dalla legge di gravità. Con lo sguardo affronto al contrario il percorso che ha fatto, e poi vado oltre, cerco le nuvole sospinte dal vento. Si annuncia una giornata fresca, piuttosto luminosa. L’ombra degli alberi, proiettata sul terreno, espone meglio delle parole ciò che accade quando un corpo si interpone fra una fonte luminosa e una superficie. Guardo lo specchio d’acqua, poco oltre, come si increspa sotto la brezza. I principii della pressione atmosferica presidiano al movimento delle masse d’aria.

Leggi della natura, universali, interpretate dalle scienze. Leggi immutabili a cui l’uomo deve inchinarsi, pur potendo modificare la natura stessa. Leggi che quelli come me, quelli come Derek Morgan, sognano d’infrangere. Perché noi diavoli vogliamo vincere la gravità come in un’illusione di Escher. Vogliamo vincere l’entropia in un moto perpetuo e senza dispendio.

Siamo gli unici che possono sfidare quelle leggi. Siamo i detentori dei destini del mondo. Non conoscono i nostri nomi, ma c’è il nostro nome sul futuro.

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Per molto tempo l’umanità ha conservato l’equilibrio di un metabolismo tra sé e la natura attraverso la produzione materiale. Una dialettica che puntava a uno scambio continuo. Lavoro, bisogni, corpi produttivi, e natura interagivano, costituendo la cornice permanente della storia dell’uomo.

Poi la reciprocità si è incrinata: l’uomo ha preso il sopravvento e l’ambiente ha assunto le sembianze che il suo dominatore ha deciso. Come creta sotto le mani di un artigiano.

Così si diede la frattura.

Alzo gli occhi. Sullo sfondo del cielo sempre più azzurro, solcato da qualche nuvola sempre meglio delineata, inquadro il grattacielo.

Questa non è la natura incontaminata e lontana dalle metropoli d’Occidente. Non è un luogo incantato fuori città. No, questo è Central Park, Manhattan, New York City. Un verde monumento alla manipolazione dell’uomo, alla sconfitta della natura.

Lo specchio d’acqua è un lago artificiale. Gli alberi sono trapiantati. Qualsiasi imprevisto in quest’enorme rettangolo verde nel cuore della Grande Mela è progettato. Un’infrastruttura invisibile controlla il parco.

È un’Arcadia sintetica, Central Park, l’utopia della purezza naturale assoggettata alla manipolazione umana.

Anche il pianeta Terra è retto da un’infrastruttura invisibile. Oggi lo scambio tra uomo e natura è diventato controllo dell’uno sull’altra. Abbiamo estratto dall’ambiente più di quanto servisse, abbiamo stravolto l’equilibrio: non sono i bisogni a guidare la produzione, ma è la produzione a indurre bisogni. E alcuni dicono che siano falsi.

Il bacino d’estrazione del valore coincide oggi con l’Ecosistema, e il valore è determinato dalla misura dei consumi.

Se Faust sognava un progresso perpetuo, ora quel sogno si è trasformato.

Faust, d’altronde, ha venduto l’anima al Diavolo.

«La lotta per l’ambiente è inscritta nel processo capitalistico. Di più: è un mezzo di produzione. Deve creare valore e nuova cittadinanza, nuove forme d’inclusione. Solo così si salva il pianeta. Solo noi, possiamo. Non i sostenitori della decrescita, non i partigiani nostalgici del Blut und Boden, e nemmeno gli anticapitalisti per tutte le stagioni»

Lungo il sentiero cammino con passo regolare e deciso, mentre le persone che fanno jogging mi sfilano accanto. Dove il parco si apre in un immenso prato, mi fermo a guardare lo skyline della città, oltre le chiome degli alberi. Da sinistra a destra l’andamento dei grattacieli sembra il saliscendi di un indice. Un aereo taglia il cielo. Il ponte sul laghetto, più in basso, ha un disegno sinuoso che vorrebbe accompagnare il flusso e invece è un braccio diafano che cala sull’acqua. Vorrebbe essere in armonia con la natura, mentre non è che un segno dell’uomo.

La brezza leggera fa aderire la giacca del completo nero alla camicia bianca, e questa al torace. Faccio qualche passo in direzione della fontana, la Bethesda Fountain, con il suo angelo di bronzo. I diavoli sono angeli caduti.

Poi mi fermo davanti a una mappa del parco: resto a riflettere su uno spazio che ha al suo interno il dispositivo per controllarlo. Allo stesso modo, il capitale ha le armi per consumare l’ambiente ma ha anche gli anticorpi per evitarne la distruzione.

I profeti dell’Apocalisse aspettano il punto di non ritorno, narrano un futuro di devastazione. L’apocalisse è un racconto di equità e giustizia. Castighi e ricompense dispensati alla fine dei tempi.

Equità e giustizia non esistono. Solo i diavoli sanno anticipare il futuro, perché è in loro potere crearlo. I profeti di rovina sono ciechi, le grida apocalittiche non ci impensieriscono.

Non esiste apocalisse. Non esiste la definitiva distruzione ambientale. E non c’è alcuna salvezza fuori dal nostro ordine. Questa è la verità. Coloro che distruggono sono gli unici che possono salvare.

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«I tassi bassi sono anticorpi alla distruzione ambientale. Le prossime scommesse saranno “verdi” e post-idrocarburiche. La salvaguardia dell’ambiente diventerà una nuova arma di controllo e un asset strategico»

Cammino per Central Park, le mani in tasca. L’aria si riscalda con il passare dei minuti.

Nella sua storia che coincide con la Storia, il capitalismo ha creato un ecosistema funzionalista, subordinato alle proprie esigenze. Sì, intere popolazioni sono costrette a migrare per i disastri causati dal cambiamento climatico. Sì, esiste una geopolitica dell’ambiente. Sì, i ritmi della produzione hanno la priorità. Ma se questa è distruzione, si tratta di distruzione creativa: nel consumo di risorse sono inscritte le possibilità di salvezza. La stessa malattia genera gli anticorpi, in un perpetuo mantenimento dell’ordine.

Non sogno incubi ambientali. Cinquant’anni fa, il presente che stiamo vivendo sarebbe apparsa un’utopia. Dobbiamo lavorare sugli effetti collaterali del progresso, questo sì, dobbiamo eliminare le scorie.

È vero, gentrificare parti del pianeta è diverso da gentrificare quartieri urbani. Non basta qualche artista, e una manciata di radical chic o di patetici bohémien. È più complesso, ma è la nostra missione. La lotta per l’ambiente è inscritta nel processo capitalistico. Di più: è un mezzo di produzione. Deve creare valore e nuova cittadinanza, nuove forme d’inclusione. Solo così si salva il pianeta. Solo noi, possiamo. Non i sostenitori della decrescita, non i partigiani nostalgici del Blut und Boden, e nemmeno gli anticapitalisti per tutte le stagioni.

(…) (Continua a leggere su I DIavoli)

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