Come lavoro, legge Vogue. Per divertirsi, si dedica ad articoli accademici sull’antichità. Una vita singolare, quella di Janet Stephens, di professione parrucchiera. Con una caratteristica speciale: si occupa delle acconciature delle donne dell’antichità. Le studia, le prova nel suo salone e, per chi volesse, le insegna anche su Youtube.
La sua è la storia di un’illuminazione, di duro lavoro di studio, e anche di una scoperta notevole, fatta da outsider rispetto a un mondo non sempre molto aperto ai contributi di chi non è accademico.
Tutto è cominciato nel 2001. Durante una visita al Walter’s Arts Museum di Baltimora. L’esposizione dei busti delle matrone romane, con le loro chiome elaborate, ha conquistato l’interesse di Janet. “Potevo guardare anche la loro testa da dietro, che è quello che faccio ogni giorno”. Quella che l’ha impressionata di più e l’acconciatura di Giulia Domna, matrona vissuta a cavallo del secondo/terzo secolo. La sua acconciatura era, di fatto, un capolavoro. In grado di resistere alla gravità. In quel momento decise di studiarla, di capirla e, se possibile, di riprodurla.
La vera sfida era di farla con gli strumenti veri, e seguendo le tecniche antiche. E qui arriva la svolta: leggendo i testi latini del periodo, Stephens scopre che la parola acus può indicare sia la forcina da capellli sia l’ago da cucitura. Eureka. È in quel momento che scopre che, in molti casi, quando le ornatrices che si occupavano dei capelli delle matrone dovevano cimentarsi con strutture di capelli impegnative, ricorrevano all’ago e al filo. Le cucivano davvero. Il lavoro del parrucchiere e quello del sarto erano simili.
Fino alle scoperta di Stephens, molte pettinature elaborate raffigurate sulle statue antiche erano state considerate parrucche. “Non è così”. Erano stabili, resistenti. Certo. Ma perché erano cucite. Un esempio sono anche i seni crines delle Vestali:
Insomma, erano vere e proprie opere artigianali. Smontarle era faticoso quasi quanto montarle. Quando Ovidio, nell’Ars Amandi, racconta dell’uomo che, dopo una selvaggia lotta con la donna, chiede a lei di rimettersi in sesto i capelli, spiega la misura della violenza commessa. Una cosa che per i romani era cristallina, immediata. Per noi no. Per capirla serviva una parrucchiera.