È Natale, è Natale, si può dare di più. E l’Udinese in Friuli sente le campane della bontà nel cuore. Nonostante tanta energia profusa e il coraggio di Thereau, l’Udinese mette tre regali sotto l’albero. L’Inter ringrazia perché ognuno si trasforma in gol. Mancini fa il mago Merlino, ogni partita combina nuove alchimie, usando tutti gli elementi di cui dispone, persino i più sconosciuti come Montoya. C’è un luogo segreto, una caverna misteriosa dove Mancini esperimenta, senza ascoltare suggerimenti, prende la sue fiale e le mescola nella grande boccia della formazione che andrà in campo, mai la stessa. Gli elementi base, quando a disposizione, sono tre. Handanovic, Murillo e Miranda. Su questi innesta pozioni chimiche che gli paiono di volta in volta necessarie, cambia i terzini una volta a destra, un’altra a sinistra, i centrocampisti, magari tre, magari solo due (soffrendo un po’), e sprizza grande visionarietà alternando gli attaccanti, il potente Icardi, il tecnico Jovetic, l’intelligente Ljajc, il veloce Babiany, il duttile Palacio a seconda del risultato che vuole ottenere e soprattutto della squadra che va a affrontare. Ebbene la combinazione chimica è sempre esatta, ormai il Mancio è diventato maestro nel creare un risultato esplosivo che gli avversari non sanno disinnescare.
Ma non basta la scienza nel maneggiare certi materiali pericolosi. Di solito quando in una squadra non ci sono titolari fissi, tra tutti i giocatori serpeggia lo scontento e l’incertezza, nasce la rabbia di essere esclusi e grandi rivalità. Il pregio del mago dell’Inter è di aver puntato sulle chances offerte a tutti, spingendo sulla fratellanza, l’unitario intento a cui ognuno dà il suo contributo, un disegno in cui ogni nerazzurro scrive un segno. Non per nulla Melo ha dichiarato “siamo una famiglia”, dove per famiglia si intende aiuto reciproco, sostegno, vicinanza. Solisti individuali pronti a sacrificarsi per il bene comune, assenza di invidie e piccole partigianerie. Insomma una ensemble di ottimi giocatori nella quale ognuno si prende la responsabilità di suonare al meglio, guidata da un grande direttore d’orchestra che si augurava un bel pareggio tra le inseguitrici.
L’Inter è una ensemble di ottimi giocatori nella quale ognuno si prende la responsabilità di suonare al meglio, guidata da un grande direttore d’orchestra che si augurava un bel pareggio tra le inseguitrici.
Cosa che avviene al San Paolo. Il Napoli attacca per 90 minuti, la Roma non ha i mezzi per replicare, solo per contenere e ci riesce. Per metà del primo tempo pressing asfissiante e di conseguenza molti errori negli appoggi più semplici. Giganteggiano i centrali, Manolas e Koulibaly sugli attaccanti. Per fortuna nel secondo tempo esiste un minimo di stanchezza e quindi le maglie si allargano, Insigne trottola come un matto ma è molto impreciso e egoista, Callejon non è incisivo, infatti Sarri lo cambia con Maertens. La partita è vigorosa, atletica e intensa ma piena di imprecisioni, la Roma difende ogni zolla, cerca di controbattere e il povero Dzeko si sbatte la testa e tutto il resto cercando di far salire la squadra, senza costrutto, Salah è ovviamente evanescente e convalescente. La difesa romanista regge bene. Le occasioni sono tutte per il Napoli che voleva davvero il gol ma il portiere giallorosso è attentissimo. De Rossi aveva inzuccato in rete ma il cross era falsato dalla linea di fondo. Finisce la battaglia 0 a 0. Molto rumore per nulla, ma molto rumore.
Tanto invece succede a Torino, i primi minuti della Fiorentina sono folgoranti come sempre, prima azione è rigore. Cuadrado fa l’ex che non esulta ma il suo buffo gol bianconero dopo 3 minuti rimette le cose in parità. Solo al 10’ inizia la partita vera a un ritmo meno forsennato con la viola che mette in campo la sua ragnatela fittissima di passaggi e la Juve replica in velocità. Orsato non fischia mai, lui fa così, e non riesce nemmeno a assegnare il rigore, glielo dice il guardalinee. E sbaglia anche parecchio. A differenza di Napoli-Roma, il tasso tecnico tattico è maggiore, molto più muscolare la Juve, preziosamente raffinata la Fiorentina. Toglierle la palla è un’impresa, il palleggio è pulito con i giocatori che calciano preciso e veloce e si muovono a fisarmonica e un Borja Valero ormai architetto della cattedrale. Ma la Juve ha il vantaggio di avere cambi migliori nel corso delle partite, ha rosa ampia e più forza fisica, l’attitudine alla vittoria. Sousa fa un grandissimo errore, non mettere i suoi uomini freschi in panchina, al posto dei titolari sfiatati, al momento giusto. Lo ha pagato caro. E ora la Juve ha un calendario facilissimo.
La Juve ha il vantaggio di avere cambi migliori nel corso delle partite, ha rosa ampia e più forza fisica, l’attitudine alla vittoria. Sousa fa un grandissimo errore, non mettere i suoi uomini freschi in panchina, al posto dei titolari sfiatati, al momento giusto. Lo ha pagato caro. E ora la Juve ha un calendario facilissimo.
Da una distanza siderale rispetto al quintetto in alta classifica, il povero Milan guarda come si gioca al calcio. Mihajlovic non può spremere succo dalle rape che si ritrova. Galliani ha speso una cifra nel mercato estivo, un po’ inutile. Romagnoli ha un futuro ma i due attaccanti, e soprattutto Luis Adriano, rimandano con il pensiero alla dimenticanza di un bravo giocatore non certo un campione come Saponara. Il peggio però è il centrocampo. Montolivo è un inespresso perenne, uscito contro il modestissimo Verona del vegliardo Toni, sotto una montagna di fischi. De Jong e Kucka quasi solo furore agonistico, anche troppo. La cosa più bella del Milan è stato il doppio dribbling del predestinato Donnarumma sugli attaccanti che ne ostacolavano il rinvio. Ed è tutto dire. Delle altre, rinviata nella nebbia l’altra squadra bambina prodigio, il Sassuolo, glorifichiamo Gianpaolo e l’Empoli. Domani la partita della crisi nera in cui sono immerse Lazio e Samp. Vedremo chi ne esce un po’ più bianca.