In Spagna si è chiusa un’epoca. Con queste elezioni, infatti, si è messa la parola fine al sostanziale bipartitismo che ha segnato la storia democratica del Paese. Agli amanti della numerologia, non sarà sfuggito, per di più, l’insistenza del numero 20 negli snodi più rilevanti della storia politica spagnola degli ultimi quattro decenni. Il 20 dicembre del 1973 muore in un attentato a Madrid l’ammiraglio Luis Carrero Blanco, delfino di Franco, candidato alla successione del dittatore. Fu l’inizio della fine del regime, che, di fatto, avvenne il 20 novembre del 1975, giorno in cui si spense il Caudillo. Quarant’anni dopo, il 20 dicembre, la politica spagnola entra ufficialmente in una fase nuova. Simpatica curiosità.
Come per altri Paesi europei, anche in Spagna la crisi si è fatta levatrice di un nuovo quadro politico, favorendo l’affermazione di nuovi movimenti e di nuove leadership carismatiche, che, dalla crisi stessa, e dalle trasformazioni da essa indotte, hanno tratto motivazioni e spinta propulsiva.
L’affluenza alle urne è stata più alta che nel 2011, e molti di più sono stati coloro che hanno votato per posta, dall’estero (+14%), a conferma che la voglia di partecipare al cambiamento questa volta non era solo uno slogan dei partiti emergenti. Ma è la composizione del voto, i dati che sembrerebbero restituire le urne, a tracciare un quadro nuovo, obiettivamente complesso, per la politica spagnola.
Il Partido Popular, col 28,7%, si confermerebbe la prima forza politica del Paese, lontanissimo però da quel robusto 44,63% che ottenne alle precedenti elezioni generali, nel 2011, il 20 novembre. Una vittoria dal sapore di sconfitta
A scrutinio ultimato, il Partido Popular, col 28,7%, si conferma la prima forza politica del Paese, lontanissimo però da quel robusto 44,63% che ottenne alle precedenti elezioni generali, nel 2011, il 20 novembre. Una vittoria dal sapore di sconfitta, insomma, sia per il crollo dei consensi, sia per le difficoltà che adesso si addenseranno nella ricerca di alleati per la formazione di una maggioranza di governo. Seconda forza del Paese è invece il Psoe, contrariamente a quanto sembrava emergere dai primi exit poll, con il 22%.
Seconda forza del Paese è il Psoe, con il 22%
Successo anche per Podemos, che si attesta al terzo posto (primo in Catalogna), con un soddisfacente 20,6%. Per il partito di Pabolo Iglesias si tratta di un risultato che conferma la grande rimonta degli ultimi giorni di campagna elettorale, soprattutto a danno dei socialisti. La vera sorpresa, tuttavia, è il risultato di Ciudadanos, che si ferma al 13,8%, quindi ben distante dai numeri che alcuni sondaggi gli attribuivano alla vigilia del voto. Molto al di sotto del 5% Izquerda Unida, a dispetto di una ripresa che tutti i media spagnoli avevano segnalato negli ultimi giorni di campagna elettorale. Con queste percentuali, al Pp andrebbero 123 seggi, al Psoe 90, a Podemos 69, a Ciudadanos 40, soli due deputati a Izquerda Unida-Unidad Popular. Sebbene la distanza tra Psoe e Podemos non sia enorme, lo scarto in seggi tra le due forze è abbastanza marcato, perché la ripartizione degli stessi avviene su base provinciale.
La vera sorpresa, tuttavia, è il risultato di Ciudadanos, che si ferma al 13,8%
Considerando che l’asticella per la maggioranza in parlamento è fissata a 176 seggi, nemmeno un’alleanza tra i popolari ed il movimento di Albert Rivera, come si ipotizzava alla vigilia, sarebbe sufficiente per dare vita ad un nuovo governo, anche perché i voti di Ciudadanos non sarebbero sommabili a quelli delle forze nazionaliste, catalane e basche, entrate in parlamento. Scenario molto incerto, quindi, che potrebbe aprirsi a soluzioni inedite, oppure ad una qualche forma di collaborazione tra forze politiche tradizionali, in nome della governabilità e della stabilità del Paese.
La prima dichiarazione ufficiale di Ciudadanos, per bocca Fernando de Pàramo, responsabile della comunicazione del movimento, è stata la seguente: «Siamo comunque felici, veniamo dal nulla, da zero, e stiamo moltiplicando i risultati delle comunali», aggiungendo «Credo che siamo stati l’unico partito che ha messo in chiaro che cosa avrebbe fatto con i voti ottenuti prima delle elezioni». Poi ha concluso:« L’unione di tutti gli spagnoli non si tocca, non è negoziabile. Vogliamo riformare la Spagna, non romperla».
Pablo Iglesias invece ha detto che «grazie al nostro brillante risultato in Catalogna e nei Paesi Baschi, siamo l’unica forza che può favorire un accordo territoriale nuovo. La Spagna ha votato per cambiare il sistema. Ora si cambi la costituzione, per ampliare i diritti sociali e fare della Spagna un Paese più gusto. Si cambi anche la legge elettorale in senso proporzionale».