CultUna poltrona per due non è una favola buonista

Il film di John Landis con Dan Akroyd ed Eddie Murphy è il più celebre dei telepanettoni natalizi di sempre, ma anche il meno moralista: è parente della Stangata, non del Canto di Natale

Una poltrona per due non è un classico, è un film cult. Le avventure di Dan Akroyd e Eddie Murphy messe in scena nel 1983 da John Landis, sono diventae negli anni una tradizione consolidata, tanto che — secondo i conti de La Stampa — negli ultimi 18 anni il film è andato in onda ogni anno tra il 23 e il 26 dicembre e, addirittura 11 volte su 18, si è strappato la prima serata della vigilia di Natale. Come quest’anno.

Il culto di Una poltrona per due è un culto particolare. Tutt’altro campo da gioco rispetto alle intoccabile religione Lucasiana di Star Wars, molto lontano dal fandom di Jurassic Park, e persino dall’amore sconsiderato per quel cazzone di indiana Jones. Il culto di Una poltrona per due rientra in quello strampalato, cazzone e un po’ cinico fandom generato intorno al Saturday Night Live, con John Belushi, Dan Akroyd e compagnia bella, un flusso di comicità e irresistibile cinismo incanalato in parte dal talento di John Landis grazie a film come i Blues Brothers e Animal House.

Due ricchi e anziani fratelli senza scrupoli giocano con la vita di altri due personaggi opposti — un bianco ricco e rampante e un nero povero e derelitto — scommettendo su se siano o meno le condizioni ambientali a rendere un uomo un poveraccio o un gentiluomo, e finendo, per la robusta consuetudine del contrappasso, per diventare loro stessi dei poveracci. Una poltrona per due potrebbe sembrare un film di buoni sentimenti, una fiaba di Natale consolatoria sulla giustizia che vince sempre sull’arroganza.

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Questo film è un po’ più di una fiaba di Natale. E la morale che ci sta dietro non è quella ottocentesca dello Scrooge dickensiano, è quella tutta novecentesca della Stangata, ovvero tutto il contrario del perdono cristiano e del Porgi l’altra guancia.

Ma questo film è un po’ più di una fiaba di Natale. E la morale che ci sta dietro non è quella ottocentesca dello Scrooge dickensiano, ovvero che la vita è breve e non va sprecata per accumulare ricchezza a scapito dei sentimenti e della giustizia. La morale di Landis è un’altra ed è decisamente novecentesca, nonché molto più frizzante. È piuttosto quella della Stangata, che è poi il frizzante contrario del perdono cristiano e del Porgi l’altra guancia.

D’altronde John Landis, per dirla con una battuta dei Blues Brothers, non è il tipo che scrive lettere e ti viene a trovare in carcere. Landis fa commedie nere e film horror. Gli eroi di Landis sono dei cazzoni. E se non c’è traccia di buonismo nel Blutarsky di Animal House, né in Jake ed Elwood Blues, non ce n’è nemmeno in Louis Winthorpe III e Billy Ray Valentine.

Il primo è la dimostrazione che l’occasione fa l’uomo ladro e che i privilegi, l’agio e la ricchezza alla lunga fanno male e rammolliscono. Il secondo che quegli stessi privilegi e quello stesso agio contagia chiunque e che appena possiedi qualcosa inizi ad esserne posseduto. Il primo è vile, il secondo è gradasso. Ma non sono loro che sono “cattivi” è l’essere umano che è fatto così. L’uomo comune in fondo è un animale moralmente debole, individualista, arrivista. E perde. L’uomo eccezionale si allea con altri. L’élite dei Duke non a caso è un club che somiglia a una loggia. E una loggia si può sconfiggere soltanto con un’altra alleanza, in questo caso quella tra i Winthorpe e Valentine.

Gli eroi di Landis sono dei cazzoni. E se non c’è traccia di buonismo nel Blutarsky di Animal House, né in Jake ed Elwood Blues, non ce n’è nemmeno in Louis Winthorpe III e Billy Ray Valentine

L’alleanza tra ingegnosi per sconfiggere l’autorità o il potere è una costante nel cinema di Landis. Pensateci, c’è la banda nei Blues Brothers, c’è il clan Delta Tau Kai in Animal House e c’è questa strampalata coppia. Il nemico è sempre quello: l’autorità e il potere. E l’unica arma che hanno a disposizione è l’ingegno e la scaltrezza.

Quando i due fratelli Duke scommettono all’inizio del film, Mortimer sostiene che Winthorpe è geneticamente migliore di Valentine e che il suo successo è autogiustificato, non dipende dall’ambiente favorevole in cui è cresciuto. Il fratello Randolph invece sostiene che Winthorpe e Valentine si equivalgono, perché ogni uomo nelle giuste condizioni può eccellere. Alla fine si sbagliano tutti e due, o, forse, entrambi hanno ragione. La scommessa in un primo momento la vince Randolph, dimostrando che Valentine può essere un eccellente manager e che Winhtorpe è diventato un ladro e un ubriacone.

Ma se al posto di Valentine i fratelli Duke fossero incappati in uno a caso tra i delinquenti che Valentine frequenta probabilmente non sarebbe andata così. Valentine è diverso dagli altri, ha qualcosa in più. Lo dimostra quando butta fuori dalla sua nuova casa la marmaglia che festeggia durante la prima notte da ricco. Valentine ha l’ingegno. Così come lo ha Winthorpe, che se eccelle nella loggia non è solo perché ha studiato, ha una bella ragazza, è ricco e non ha problemi. Winthorpe eccelle perché è ingegnoso, è intelligente, è scaltro in quello che fa.

Sia il paternalista positivismo di Randolph, sia il turpe razzismo di Mortimer si scontrano con l’ingegno cazzone di Winthorpe e Valentine, che aiutati dal maggiordomo Coleman e dalla prostituta Ophelia, umiliano e distruggono i fratelli Duke non in nome della giustizia, dei sentimenti o della lotta di classe. Ma in nome di una cosa molto più lubrica e umana: la vendetta.

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