Dov’è finito il ministro Graziano Delrio che ad aprile, appena succeduto a Maurizio Lupi alle Infrastrutture e Trasporti, dichiarava che era «giusto fare le gare» per le concessioni autostradali? E il Delrio che aggiungeva: «il prolungamento delle concessioni credo vada valutato solo in presenza di alcune condizioni, che io vorrei fossero le stesse condizioni dei nostri partner europei»?
Oggi c’è un ministro delle Infrastrutture che è orientato a concedere una proroga delle concessioni per l’Autobrennero (A22) fino al 2045 e per Autovie Venete fino al 2038. E che, sul quadrante Nord-Ovest, sta trattando con i Gavio, per arrivare a un compromesso tra la proroga da loro richiesta (2043) e il brusco taglio delle gestioni in deroga chiesto dall’Unione europea. Nel frattempo, mentre sulla Milano-Torino i Gavio hanno ottenuto il 6,5% di aumento dei pedaggi al 1° gennaio, in due tratte della rete gestita da Autostrade per l’Italia gli aumenti (+1% nella media delle tratte) sono del 40% (Milano-Varese) e addirittura 77% (Milano-Busto Arsizio). Mentre le denunce fioccano anche da parte delle istituzioni (Antitrust, l’Anac di Raffaele Cantone, la Banca d’Italia e l’Autorità dei Trasporti), nulla sembra davvero cambiare in un settore dove le rendite non finiscono mai.
Tanto che anche un professore moderato come Giorgio Ragazzi, esperto di infrastrutture e già direttore esecutivo della Banca Mondiale, sbotta: «Sono disgustato. È una vergogna che si trascina da secoli. Non abbiamo ancora trovato un governo che abbia la forza di respingere lobby potentissime come quelle dei concessionari. Speravamo che questo ministro cambiasse qualcosa, ma non mi pare stia avvenendo. Ci vorrebbero ben altra determinazione e capacità».
«Non abbiamo ancora trovato un governo che abbia la forza di respingere lobby potentissime come quelle dei concessionari. Speravamo che questo ministro cambiasse qualcosa, ma non mi pare stia avvenendo. Ci vorrebbero ben altra determinazione e capacità».
Il vecchio che avanza: proroghe e appalti in house
A far saltare i nervi a Ragazzi è soprattutto il caso dell’Autobrennero. Qui la concessione è scaduta il 30 aprile 2014, mentre la gara indetta nel dicembre 2011 dal governo Monti è stata annullata dal Consiglio di Stato nel marzo 2014. Era stata, per la cronaca, la prima gara nella storia delle concessioni autostradali italiane. Nell’incontro fissato il prossimo 14 gennaio tra il governo e gli azionisti di Autobrennero (con in testa le Province di Trento e Bolzano), si andrà verso un accordo: la proroga fino al 2043 e l’affidamento in house degli investimenti, pari a 900 milioni più altri 300 residui. Lo stesso 14 gennaio ci sarà un incontro anche con i vertici di Autovie Venete. In questo caso la scadenza è il 31 marzo 2017 e le opere residue pari a 1,2 miliardi di euro. In tutto si va verso oltre 2 miliardi di affidamenti in house, quelli che per i privati non dovrebbero più essere possibili per una percentuale oltre il 40% del valore totale.
Bruxelles è già stata informata e ha dato il via libera, a patto che escano tutti i soci privati. «L’attribuzione in house al Trentino è una vergogna – dice Ragazzi -. L’autostrada non è un servizio pubblico, ma è un’attività molto redditizia. L’A22 non ha bisogno di investimenti, i costi sono ammortizzati e i pedaggi si dovrebbero chiamare più correttamente tasse. Perché queste tasse non le riscuote lo Stato ma vengono date in regalo agli enti del Trentino-Alto Adige? Forse perché i voti del Trentino sono utili a questo governo».
«L’attribuzione in house al Trentino è una vergogna. L’A22 non ha bisogno di investimenti, i costi sono ammortizzati e i pedaggi si dovrebbero chiamare più correttamente tasse. Perché queste tasse non le riscuote lo Stato ma vengono date in regalo agli enti del Trentino-Alto Adige?»
Quanto ai Gavio, aggiunge Edilizia e Territorio, prima di Natale i rappresentanti del gruppo e del governo si sono incontrati. Non si lavora più sulla proposta dei Gavio di una proroga al 2043 per tutte le concessioni, in cambio di investimenti aggiuntivi per 5 miliardi di euro. Si parla invece di accorpamenti mirati, per gruppi, e scadenze diversificate, sempre con l’obiettivo complessivo di 5 miliardi di investimenti. In ballo in questo caso ci sono gli investimenti sull’autostrada Asti-Cuneo: manca un miliardo e il gruppo di Tortona minaccia un contenzioso con lo Stato, che si troverebbe a dover tirare fuori i soldi per completare l’autostrada. Da qui il pragmatismo di Delrio, che avrebbe scelto di trattare. «Bisogna smetterla di pensare che senza i Gavio non si riesca a far nulla – attacca Ragazzi -. Il gruppo ha il 60% dell’Asti-Cuneo, avendo messo non più del 5% di quello che è stato investito finora. I soldi finora ce li ha messi l’Anas. Questi signori di loro non investono una lira. Non hanno rischi e hanno rendimenti del 9-10 per cento».
Tutti (a parole) contro le proroghe
Per capire meglio di cosa si sta parlando bisogna partire dalla fine del 2014, quando, ministro Maurizio Lupi, il governo vara il decreto legge 133/2014, lo Sblocca Italia. All’articolo 5 si delinea la possibilità di uno scambio tra le concessionarie autostradali e lo Stato: da una parte della bilancia si chiede una calmierazione delle tariffe autostradali per alcuni anni e l’impegno a effettuare investimenti aggiuntivi. Dall’altra si dà ai concessionari la possibilità di continuare il loro bengodi: con la fusione di tratte autostradali contigue, i concessionari possono allungare la durata delle concessioni più prossime alla scadenza.
Questa soluzione ha attirato oppositori da ogni parte. Oltre a quelle delle istituzioni italiane già ricordate c’è quella pesante della Commissione europea, che ha minacciato una procedura di infrazione proprio per l’articolo 5 dello Sblocca Italia. La direttiva Concessioni (2014/23/UE), che andrà recepita entro il 18 aprile 2016, mette un ulteriore tassello: modifiche in materia di durata (da limitare entro i 5 anni), affidamento (da realizzare con gare) e proroga (possibile solo in assenza di modifiche sostanziali) dei contratti di concessione.
La partita sembrerebbe chiusa, ma non lo è. La direttiva europea che impone le gare si applicherà alle nuove concessioni, così come alle nuove concessioni si applicano le regolamentazioni dell’Autorità dei Trasporti, operativa dall’inizio del 2014.
La partita sembrerebbe chiusa, ma non lo è. La direttiva si applicherà alle nuove concessioni, così come alle nuove concessioni si applicano le regolamentazioni dell’Autorità dei Trasporti, operativa dall’inizio del 2014.
È in questo contesto che sono arrivate, ad aprile, le parole di Delrio, nel segno di una discontinuità. Oggi i piani economici tariffari delle concessionarie sono, in 21 casi su 27, bloccati in attesa dell’approvazione del Cipe. Con essi, almeno per ora, lo sono gli aumenti tariffari. Sono i piani che prevedevano appunto gli accorpamenti tra le concessioni e le conseguenti proroghe. Come finirà la partita? Se non si va verso una resa, il rischio, viste le premesse, è di un compromesso molto al ribasso.