A febbraio sarà ancora una gara in salita. I nuovi stress test dell’autorità bancaria europea (Eba) penalizzeranno le banche dei Paesi europei periferici, come l’Italia, e quelle che prestano denaro alle imprese, piuttosto che impiegarlo in speculazioni finanziarie: guarda caso, come la gran parte di quelle italiane. Lo aveva denunciato a suo tempo anche Bankitalia e la situazione si ripete.
I dettagli della nuova tornata di analisi sui conti degli istituti di credito europei non sono ancora stati messi a punto. Ma dalle bozze che sono state pubblicate a partire da novembre, il sentore degli addetti ai lavori è chiaro. «A una prima lettura gli stress test del 2016 vedranno lo stesso problema del 2014 – commenta Andrea Partesotti, partner della società di consulenza Prometeia, dove è responsabile del coordinamento delle practice di Enterprise Risk Management -. Le regole imposte potranno penalizzare le banche con un business orientato al credito alle imprese e all’economia reale, rispetto alle investment bank. Abbiamo la sensazione che le regole del gioco siano sfavorevoli per le banche con un modello di business credit intensive, con molti impieghi di tipo corporate, verso piccole imprese e clientela retail».
Ringraziano le banche britanniche e tedesche: negli stress test saranno favorite le investment bank e quelle legate a Paesi con rischio sovrano molto basso
Se gli istituti britannici ringraziano, lo stesso potranno fare quelli tedeschi e degli altri Paesi nordici, perché conterà molto il rischio sovrano, come a suo tempo sottolineato da Marcello Esposito su Lavoce e su Linkiesta. «Saranno più penalizzate le banche dei Paesi periferici, in particolare dell’Europa del Sud – aggiunge Partesotti -. Gli esiti degli shock simulati sono funzione del rating sul credito iniziale. È chiaro che le banche tedesche partono in vantaggio, perché il rating sul credito è legato al rating sul Paese».
Ma come arrivano le banche italiane all’esame? Va detto intanto che sotto l’esame dell’Eba ne finiranno solo cinque, rispetto alle 13 del 2014. L’esame a livello europeo è stato concentrato sulle 53 banche maggiori (di cui 39 nell’area euro), che rappresentano il 70% degli asset consolidati a livello continentale. Le cinque sono Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Ubi e Banco Popolare. Gli occhi saranno tutti puntati su Mps, uscita bocciata a fine 2014. In mezzo c’è stata una ricapitalizzazione, un nuovo piano industriale e una dismissione di sofferenze, a prezzo di saldo, avvenuta a dicembre. Basterà? «La Mps di oggi non è l’Mps di due anni fa – commenta Partesotti -. Il processo di risanamento presentato nel piano industriale non è certo concluso, ma c’è stato un progressivo miglioramento dei valori». Più in generale, per le cinque banche la società di consulenza si aspetta risultati migliori del 2014.
Gli occhi saranno tutti puntati su Mps, uscita bocciata a fine 2014. In mezzo c’è stata una ricapitalizzazione, un nuovo piano industriale e una dismissione di sofferenze, a prezzo di saldo, avvenuta a dicembre. Basterà?
Se i big saranno messi sotto esame dall’Eba, per altri dieci istituti medi scatterà un controllo parallelo da parte della Bce. Saranno compresi tutti quelli inseriti nell’elenco delle 129 banche “significative” per il rischio sistemico, controllate dalla Vigilanza Unica di Francoforte guidata da Danièl Nouy. Tra le italiane, oltre alla nuova entrata Credito Emiliano, ci saranno quelle già sottoposte ai precedenti stress test. Tra queste Carige, l’altra bocciata del 2014.
«È presto per fare simulazioni sugli esiti degli stress test per le banche medie. È noto che alcune dovranno fare aumenti di capitale. Rispetto al 2014 ci sono state però le ricapitalizzazioni, le razionalizzazioni e una lieve ripresa del ciclo economico del Paese»
Come andrà per queste banche? Una simulazione di Prometeia di fine dicembre ha fotografato una situazione eterogenea, ma nel complesso solida. Lo scopo dell’analisi era capire in quali condizioni di criticità sarebbero state toccate le obbligazioni subordinate (quelle bruciate nel caso delle quattro banche popolari salvate a fine 2015) e i conti correnti sopra i 100mila euro. Con una perdita del 3% degli attivi il capitale delle banche italiane (comprese le cinque maggiori) sarebbe sufficiente a ripianare le perdite, mentre per le obbligazioni subordinate e gli strumenti ibridi scatterebbe una (pericolosa) conversione in azioni. Nel caso estremo di una perdita dell’8% sarebbero dolori per tutti gli obbligazionisti subordinati, molto meno per quelli senior, mentre sarebbero salvaguardati tutti i correntisti. Tutto bene, quindi, in vista degli esami di febbraio e degli esiti, previsti per luglio? «È presto per fare simulazioni sugli esiti degli stress test per le banche medie. È noto che alcune dovranno fare aumenti di capitale. Rispetto al 2014 ci sono state però le ricapitalizzazioni, le razionalizzazioni e una lieve ripresa del ciclo economico del Paese», commenta Partesotti.
Che, per il 2016, esclude altre situazioni come le quattro popolari del Centro Italia e invita a non mettere sullo stesso piano casi come quelli di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. «Bisogna stare attenti a non confondere le situazioni. Le banche venete a differenza delle quattro popolari salvate non sono commissariate. Anche se hanno necessità di aumenti di capitale, hanno tutto un altro profilo in termini di management e situazione economico – patrimoniale».