È stato un vecchio tormentone, uno dei tanti che hanno accompagna la Grande Crisi che ha attanagliato il Sud Europa e non solo da fine 2008 a fasi alterne, ovvero il cosiddetto dumping salariale che la Germania avrebbe attuato, mantenendo bassi i propri salari e quindi i prezzi dei propri prodotti, e la mancanza di investimenti pubblici che rilanciassero la domanda tedesca verso il resto d’Europa.
Il tutto naturalmente proveniente dalla teoria secondo cui la ripresa dovesse essere solo una questione di maggiore domanda, comunque sia generata, e non tanto di più produttività.
Ebbene, questa narrazione della crisi sembra essere saltata. I dati preliminari sulla crescita del Pil tedesco del 2015 indicano un aumento del 1,7%, il maggiore dal 2011, ma soprattutto vi è il fatto che questa crescita è stata causata proprio da un aumento della spesa pubblica e dei salari, in termini che non si ritrovano nel resto d’Europa: +2,8% la spesa pubblica nel 2015, contro un +0,4% anno su anno in Italia nel terzo trimestre, +3,9% annuo (a prezzi correnti) i salari.
La narrazione della crisi è saltata: il Pil tedesco cresce come mai dal 2011, e grazie all’aumento della spesa pubblica e dei salari, in termini che non si ritrovano nel resto d’Europa
Al contrario ormai influisce molto poco l’export alla crescita del Pil tedesco, solo lo 0,2% sul 1,7% complessivo proviene da questa componente.
E però se osserviamo bene i dati vediamo che non si tratta di una novità del 2015, quando l’emergenza profughi ha certo aumentato le spese e drenato il surplus di bilancio nel frattempo creatosi. È almeno dal 2013 che il mercato interno trascina la Germania più delle esportazioni.
È quello che chiedevano in fondo coloro che colpevolizzavano il Paese di Angela Merkel per la crisi o la crescita stentata dell’Europa, ma qual è l’effetto sull’Italia? Ebbene gli ultimi dati disponibili, di novembre, indicano un aumento dell’export verso la Germania solo dello 1,51%, molto meno di quello verso altri Paesi europei.
Nonostante l’aumento dei consumi tedeschi, e l’incremento delle importazioni, quindi, non è giunto un grande beneficio per l’Italia.
Questo smentisce tutte le elucubrazioni che vedevano la crisi italiana in gran parte come conseguenza della presunta austerità tedesca. Cadono gli alibi dei tanti che hanno sempre cercato solo cause esterne alla condizione dell’Italia, il settimo Paese al mondo per crescita più bassa dal 2000 ad oggi, ricordiamolo.
Sono smentite tutte le elucubrazioni che vedevano la crisi italiana in gran parte come conseguenza della presunta austerità tedesca: la Germania riparte ma noi non ne abbiamo benefici perché l’Italia in molti settori non può tenere il passo come fornitore
Evidentemente il commercio estero non basta, ed ha ragione invece chi dice che a causa degli aumenti di produttività e i cambiamenti tecnologici degli ultimi 15 anni si è ormai indebolito quel legame che si riteneva ferreo tra economia tedesca e italiana, i ganci tra locomotiva e vagoni si allentano: la Germania ormai esporta ed importa sempre più verso e dai partner extraeuropei, come d’altronde l’Italia, la quota dei Brics nelle importazioni tedesche è raddoppiata dal 2001 e, nonostante il forte legame esistente, in alcuni settori l’Italia non può tenere il passo come fornitore. E ciò proprio per quel grande gap di produttività che nel frattempo si è creato, di cui si parla molto in ambiti accademici e poco nei salotti politici.
Questo diventa importante da sottolineare perchè a qualcuno potrebbe venire in mente che allora la soluzione sia più spesa pubblica interna, del resto non è quello che sta facendo la Germania?
Peccato che si confondano, come spesso accade, cause ed effetti, perchè la crescita della spesa pubblica e soprattutto dei salari tedeschi non è che l’effetto, e non la causa, della crescita, e in particolare dello spettacolare, dato il periodo, aumento della produttività del lavoro e degli altri fattori dai primi anni 2000 in poi.
La crescita della spesa pubblica e soprattutto dei salari tedeschi non è che l’effetto, e non la causa, della crescita. Per questo non vengono capite a Berlino le rimostranze di un premier italiano che vuole creare artificialmente una domanda invece che pensare alla produttività
È solo grazie alla spesa oculata, alla moderazione salariale praticata quando in Europa andavano di moda le cicale, all’attenzione alla qualità dei prodotti, che ora la Germania può permettersi di spendere di più e rimanere in pareggio di bilancio.
Per questo non vengono capite a Berlino e in Europa le rimostranze di un premier italiano che come gran parte dei predecessori pensa di rovesciare il paradigma e anteporre una domanda creata artificialmente alla urgentissima esigenza di aumentare la produttività, rimandandola invece alle calende greche e vivendo in un eterno breve periodo come sempre si è fatto alle nostre latitudini.