C’è una cosa che fatico a comprendere degli italiani. O forse fatico ad accettarla. È una specie di habitus naturalizzato per via del quale non ci va mai bene ncazzo. Prendi il cinema italiano, secondo gli italiani.
La Grande Bellezza? “Una delusione”, “Una cagata” addirittura, ho sentito dire da gente che di Sorrentino ha visto solo quello, perché quello ha vinto l’Oscar. Gente che di Sorrentino non ha mai visto Il Divo, o Le Conseguenze dell’Amore, o la fotografia straordinaria di This Must Be The Place. Cosa dire di Elio Germano? Uno dei migliori attori italiani della “nuova generazione”, se non il migliore (Elio, vorrei ricordarti che ti amo e che ti sposerei anche tra 1 ora nel cortile di casa mia). Provate a nominarlo e la metà dei vostri interlocutori medi faticherà persino a metterne a fuoco la fisionomia. E poi ci sarebbero tutti gli altri, quelli che fanno i soliti film intellettualoidi di sinistra, che al botteghino incassano 4 caramelle e 2 arachidi, grazie che poi il cinema italiano soccombe e le sale chiudono.
Ci riempiamo la bocca di Monicelli, Fellini, Gassman, spesso senza nemmeno conoscerli realmente, ma ci sorbiamo inermi 20 anni di cine-peto-panettoni, e sugli altri screen della nostra vita arrivano i reality show, e i talent show, e 20 anni di Uomini e Donne, e l’avvento dei social network, e certi youtuber. E, un giorno, all’improvviso, ci svegliamo e ci chiediamo (un po’ indignati e un po’ scandalizzati) com’è possibile che Checco Zalone abbia tutto questo successo, con la sua ironia terra-terra che contribuisce all’appiattimento culturale e al surriscaldamento globale.
E dunque chiedo, di grazia, santo cielo e porco il mondo, cosa vi stupisce così tanto del risultato al botteghino di Quo Vado?
E, un giorno, all’improvviso, ci svegliamo e ci chiediamo (un po’ indignati e un po’ scandalizzati) com’è possibile che Checco Zalone abbia tutto questo successo
Dite che Zalone fa male al cinema italiano? Dite che è un modello sociale negativo. Dite che è di destra ma poi anche di sinistra. E in tanti hanno sentito l’esigenza (?) di commentare, sproloquiare, analizzare semioticamente la sega che Zalone fa all’orso polare (spoiler) ed ergersi a strenua Resistenza Culturale della più fine intellighenzia italiana. State sereni. La faccenda è semplice: Checco Zalone piace a tutti.
Sì, ok, certo, non piace a tutti-tutti, ma 22 milioni in un weekend, ragazzi, piace davvero a tanti. Il film era in programmazione continua, le sale erano piene. Certo, ci sono quelli che dicono che Zalone fa schifo, ma se è per questo ci sono anche persone a cui non piace la Nutella. Ciò non toglie che la Nutella piaccia praticamente a tutti.Io so che la Nutella è grassa, che esistono creme di cioccolato e nocciole estremamente più buone e raffinate, so che c’è l’olio di palma [che non è ben chiaro che cosa faccia, ma a quanto pare è il demonio (e proprio come il demonio “è dappertutto!”)] e che al terzo cucchiaino stai rischiando una letale otturazione esofagea. Ciononostante, a me la Nutella piace. La mangio assai di rado, non troppa, e quando lo faccio me la godo tantissimo.
Della Nutella, come di Zalone, non puoi abusarne, né mangiare solo quella, ma se una volta ogni tanto capita, non è un problema. Inoltre la Nutella sta pure bene su tutto (brioche alla nutella, pane con la nutella, gelato variegato alla nutella, crepes alla nutella, PIZZA alla nutella, parmigiana di melanzane alla nutella). Allo stesso modo, Zalone piace ai giovani, agli adulti, ai vecchi. Piace a quelli del nord e a quelli del sud, a quelli che dal sud sono andati al nord e a quelli che dall’Italia sono andati via. Piace ai semplici e ai colti, ai populisti e ai radical chic. Piace alle donne e piace agli uomini (io, per esempio, ho sempre trovato repellenti i cinepanettoni anche per via del ruolo che la donna aveva in essi).In qualche modo, quando lo spettatore va in sala per Zalone, ritrova un personaggio amaramente realistico, pur nella sua surrealità, e familiare. Coerente con se stesso. E, checché se ne dica, il pubblico premia la sublime e quasi estinta virtù della coerenza, oggi più che mai, in un tempo in cui nemmeno i politici o i prelati sono tenuti ad averne e a dimostrarne. Invece, Zalone, è coerente con se stesso, nel bene e nel male. Perché Zalone è Zalone, indipendentemente che canti, balli, reciti, rilasci un’intervista o faccia uno spettacolo in un palazzetto dello sport. La gente è affezionata alla sintesi grottesca del peggio che Checco rappresenta, messo in scena da una prospettiva narrativa non casuale: le vicende sono raccontate dall’interno, senza spocchia, senza sbruffoneria, senza complessi, con una radicale ignoranza sempre condonata dalla sostanziale bontà d’animo del personaggio. Gli italiani non si sentono raccontati (e giudicati) dall’alto in basso, con Zalone, ma al contrario, attraverso una caricatura che li mette a proprio agio, Zalone solletica la presunzione di superiorità del pubblico e lo porta dalla propria parte, lo rende complice e lo scopre a tifare per sé, nonostante le sue miserie, dall’inizio alla fine.
La gente è affezionata alla sintesi grottesca del peggio che Checco rappresenta, messo in scena da una prospettiva narrativa non casuale: le vicende sono raccontate dall’interno, senza spocchia, senza sbruffoneria
In termini di trama, la storia è sempre la stessa, la favola da adulti per eccellenza, il perdente che vince, uscendone anche mediamente bene ed esclusivamente per questione di culo, perché Checco non ha merito alcuno, mai, se non quello di restare fedele a se stesso, sempre, coerente per l’appunto, e aperto al mondo nel quale si trova, goffamente capace di adattarvisi, per quanto diverso sia (Checco si interfaccia – ok li prende per il culo, ne fa sberleffo ma di fatto riesce a interagirci – con omosessuali, leghisti, musulmani, arricchiti, norvegesi, partendo sempre dal suo piccolo e confortevole paesino, trattandoli sempre con una comicità elementare e dissacrante, terra-terra ma efficace).
E non solo i film di Zalone finiscono bene (che graziarcazzo, direte voi, essendo commedie) ma l’evoluzione del protagonista, il superamento dei suoi pregiudizi, il compromesso e l’integrazione col diverso, sono sempre i temi centrali, l’asse narrativo attorno al quale la vicenda si sviluppa. Cambiano gli ingredienti, i termini del disagio, del confronto, ma il fil rouge è sempre lo stesso. Nel mentre ridicolizza qui e lì, senza velleità intellettuali: il pizzetto ossigenato del pugliese che si integra tra gli scandinavi dispensando lezioni di civiltà agli altri italiani, è una caricatura feroce, espressa secondo i codici della sua comicità.E per quanto sia chiaro che Zalone non è De Niro e che i suoi film non sono diretti da Inarritu, per quanto sia ovvio che la sua comicità si fondi su luoghi comuni (come è plausibile che sia, essendo un comico), a me piace molto il lavoro di ricerca umana, socio-antropologica e linguistica che c’è dietro Checco Zalone (lo studio sul linguaggio e sugli “strafalcioni” in Cado dalle Nubi è magistrale, e lo dico da pugliese).
Mi piace l’autore che ha concepito e tenuto vivo un personaggio che funziona, un bambino cinico, un ingenuo-quasi-stupido che se la cava sempre.
Mi piace, in altri termini, l’autore che ha dato vita a un anti-eroe della cinematografia contemporanea nostrana, che potrà apparire meno nobile di quelli che l’hanno preceduto (tipo Fantozzi), ma che incarna lo spirito del nostro tempo. Mi piace l’idiosincrasia irriverente che è la genesi del personaggio e l’accettazione del fallimento come ingrediente e scintilla del miglioramento.
Non ci è dato sapere se Checco Zalone diventerà grande, se sperimenterà altre formule o se si confronterà con altri argomenti. Nel frattempo continuo a pensare che avrei voluto essere una compagna di scuola di Luca Medici il quale, è ragionevole supporre, doveva fare delle imitazioni leggendarie dei suoi professori.