On the Road, quando il viaggiatore era nero

Il capolavoro di Jack Kerouac a quei tempi sarebbe stato meno semplice da scrivere se Jack Kerouac fosse stato afroamericano

Facile fare come Jack Kerouac, partire in auto per le strade d’America per diventare leggenda. Facile, poi, trarne un grande libro che diventa un cult generazionale, facendo sognare giovani di tutte le latitudini: libertà, energia, vitalità. Facile, appunto, se si è bianchi. Perché se si fosse stati neri (o negri, come usavano dire), le cose erano un po’ più complicate. La libertà sulla strada era a disposizione di chi, nei diritti e nei fatti, quella libertà ce l’aveva già. Gli altri, be’, dovevano stare più attenti. E servirsi di apposite guide di viaggio, come questa: The Negro Travelers’ Green Book.

All’epoca (ma per certi aspetti, se ci pensa, anche oggi) erano pochi i ristoranti, gli alberghi, e le attrazioni turistiche disposte ad accettare la presenza di persone di colore. Non ci si poteva muovere a caso, i rischi erano troppi. Era necessario pianificare, per cui niente autostop né nottate nei granai. Ci voleva una guida che dava informazioni di ogni tipo.


Venne stampata per la prima volta nel 1936, e venne ristampata fino al 1966 (On the Road è del 1957). Contiene consigli, istruzioni sui monumenti da vedere, alberghi in cui potevano sostare, motel e perfino stazioni di servizio. Con tanto di indirizzi e pubblicità. C’è anche una sezione di freddure che il passeggero può leggere durante le lunghe traversate in auto per divertire i compagni di viaggio. Un lavoro completo, insomma, che si può trovare qui.

Tutto questo per dire che, in fondo, l’anelito di libertà è uguale per tutti. Solo, come sempre, c’è qualcuno un po’ più uguale degli altri.

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