«L’Europa non può essere solo austerity e regole, ma deve tornare a scaldare i cuori». Potrebbero essere parole di Matteo Renzi, in pieno scontro con Bruxelles (e forse anche Francoforte, sede della Bce). Ma l’analisi viene dal capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice. Che a Linkiesta conferma le previsioni di una ripresa più robusta delle attese per l’economia italiana nel 2016, già espresse domenica dal consigliere delegato della banca in una lunga intervista al Messaggero. E, indirettamente, il supporto alle riforme del governo Renzi. Ma nel mosaico di segnali positivi per l’anno appena iniziato rimane una tessera vuota: quella degli investimenti. Se misure come i maxi-accantonamenti sugli investimenti delle imprese qualche effetto lo potranno avere, i soldi che sarebbero dovuti arrivare attraverso il Piano Juncker sono fuori orizzonte. Il programma europeo è «timido» e nato tra «troppe resistenze», e quindi ben vengano i pugni sul tavolo.
Quali sono i segnali che vi fanno ritenere che la ripresa nel 2016 sarà robusta? Ci sono stati dei dati sorprendenti in positivo negli ultimi mesi?
Abbiamo avuto una serie di dati sorprendenti in positivo nella parte finale dell’anno. In primo luogo quelli sull’occupazione, che ha avuto una crescita superiore alle attese. In secondo luogo abbiamo visto finalmente una ripresa delle compravendite delle abitazioni. In terzo luogo il mercato dell’auto a dicembre ha continuato a salire fortemente, con un +18,7% che ha chiuso un anno con crescita sempre a doppia cifra. Questo ha effetti positivi su tutta la filiera dell’automotive, inclusi componentisti e indotto: metà della crescita della produzione industriale deriva dai dati sulle auto. Infine, gli ultimi dati sull’export (18 gennaio, ndr) sono di una crescita del 6,4%, ai massimi dallo scorso giugno. Una crescita importante, perché eravamo preoccupati per gli effetti del rallentamento delle economie dei Paesi emergenti. Se messi tutti assieme, questi dati ci fanno pensare che possa crearsi un circolo virtuoso: più occupazione genera più domanda interna, questa invoglia le imprese a investire di più, con il risultato di far crescere l’occupazione. L’anello debole è ancora quello degli investimenti: gli indici di fiducia di famiglie e imprese è ai massimi storici, ma non vediamo molti segnali sul fronte degli investimenti.
«Occupazione, abitazioni, auto, export: se messi tutti assieme i dati positivi degli ultimi mesi ci fanno pensare che possa crearsi un circolo virtuoso»
L’Istat, per la prima volta dopo quattro anni, ha registrato un incremento dei prezzi delle abitazioni su base congiunturale (+0,2%). È il segnale che aspettavamo per dire che l’economia si sta rafforzando?
Non abbiamo mai avuto tante condizioni favorevoli per le case come quelli che vediamo oggi. I tassi di interesse sono bassissimi, le banche si stanno facendo una forte concorrenza, la liquidità è molta e i mercati borsistici non danno alternative invitanti: il mercato obbligazionario ha rendimenti bassi e quello azionario ha una volatilità elevatissima. Questo sta facendo tornare la passione di una volta per il mattone. C’è però da dire che il mercato sarà comunque un po’ calmierato nella sua possibilità di crescere: si è costruito molto e abbiamo ancora un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Nel 2016 ci sarà un incremento dei prezzi ma non certo un boom.
L’indice di fiducia delle imprese e delle famiglie ha cominciato a crescere da molti mesi. In che cosa si stanno concretizzando questi segnali?
Dal lato delle famiglie vediamo una diminuzione del risparmio per scopi precauzionali. Nel 2015 c’è già stato un andamento dei consumi positivo per lo 0,9 per cento, per il 2016 prevediamo una salita dell’1,2 per cento. Sul fronte delle imprese la crescita della fiducia è controbilanciata dal rallentamento della domanda internazionale, che spinge le imprese a essere caute. Però c’è il grande incentivo del maxi accantonamento del 140% che dalla metà di ottobre le imprese possono fare sugli investimenti. Questo le potrà spingere a investire di più: prevediamo che gli investimenti in macchinari, che nel 2015 sono scesi dello 0,8%, nel 2016 salgano del 2,8 per cento.
«Mi aspetto che sull’aumento degli occupati avremo dati molto positivi per dicembre, ultimo mese degli incentivi pieni. All’inizio del 2016 potremo avere un lieve calo. Abbiamo però un’economia che cresce di più e questo dovrebbe favorire l’aumento dell’occupazione»
L’occupazione è in lieve salita e gli ultimi dati danno segnali univoci (più occupati, meno inattivi, meno disoccupati). La Banca d’Italia ha previsto che si scenderà sotto l’11% non prima del 2017, il vostro centro studi prevede che si scenda già nel 2016. Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi mesi, dopo la riduzione degli incentivi per le assuzioni?
Mi aspetto che sull’aumento degli occupati avremo dati molto positivi per dicembre, ultimo mese degli incentivi pieni. All’inizio del 2016 potremo avere un lieve calo: sarà interessante capire della riduzione degli incentivi, che comunque rimarranno. Abbiamo però un’economia che cresce di più e questo dovrebbe favorire l’aumento dell’occupazione. Su quanto cresca non ci sono grandi differenze con Bankitalia, noi prevediamo che a fine 2016 la disoccupazione scenda al 10,7 per cento.
La Banca Mondiale sta riducendo le previsioni sulla crescita dell’economia mondiale; i Paesi emergenti stanno rallentando; la Cina e il Brasile preoccupano. L’Italia in che misura sarà intaccata da questo rallentamento?
Molto dipenderà dal prezzo del petrolio. Abbiamo due effetti: le famiglie aumentano il potere d’acquisto, per lo 0,6%: significa 10 miliardi di consumi in più, sia nel 2015 che nel 2016. Dall’altro le potremo avere meno export verso alcuni Paesi, per 5-6 miliardi, ossia lo 0,3% del Pil. A questi numeri va aggiunto che i costi di produzione delle imprese si riducono del 2% rispetto a uno scenario di petrolio a 55 dollari al barile. Il saldo è quindi positivo per l’Italia.
«Al di là dei toni ruvidi dello scontro tra Renzi e Juncker, è importante che l’Europa torni a scaldare i cuori, che faccia sentire ogni cittadino europeo un senso di appartenenza a qualcosa che porti sviluppo. Se l’Europa è solo austerity e regole, non stupiamoci dei risultati elettorali nel Continente»
Fino a quanto può scendere il petrolio prima che siano dolori anche per l’Italia?
Quando si parla di petrolio, in questo momento, bisogna considerare che la discesa dipende dall’offerta molto più che dalla domanda. L’Opec non funziona più e l’Arabia Saudita continua con una politica volta a mettere in difficoltà gli altri produttori. Io credo che questo non durerà in eterno, perché la stessa Arabia Saudita comincia ad avere un deficit commerciale e ha bisogno di introiti più alti. È difficile fare previsioni, ma penso che siamo vicini a toccare il fondo.
Considerate tutte le varianti, qual è la previsione per il Pil 2016?
Prevediamo una crescita dell’1,2% per cento. È inferiore alle previsioni del governo, ma un po’ di prudenza non guasta.
Lunedì 18 gennaio il presidente francese Hollande ha parlato di uno stato d’emergenza per l’economia e la sicurezza e promesso nuove misure di stimolo alla crescita. Ha ragione lui a usare toni allarmistici o Matteo Renzi a usare toni trionfalistici con dati che non sono migliori di quelli francesi?
Che l’Italia stia nel mezzo di un turnaround che pochissimi si aspettavano è fuor di dubbio. Per l’Italia, come per la Francia e altri Paesi europei, è importante che l’Europa introduca una politica più incisiva sugli investimenti. Tutta l’Europa sta vedendo un calo degli investimenti. Il bilancio europeo è troppo timido per gli investimenti: il piano Juncker potrebbe essere molto più forte, nasce con troppe incertezze. Per rispondere alle inquietudini dell’opinione pubblica in Europa, serve una profonda riflessione su come fare per sostenere la ripresa, come far salire gli investimenti e l’occupazione giovanile. Al di là dei toni ruvidi, è più importante il bene comune che l’Europa torni a scaldare i cuori, che faccia sentire ogni cittadino europeo un senso di appartenenza a qualcosa che porti sviluppo. Se l’Europa è solo austerity e regole, non stupiamoci dei risultati elettorali nel Continente.
Gli investimenti dovranno venire anche dalla Germania?
La Germania può dare molto di più. Ogni volta la Commissione europea nei suoi rapporti non bacchetta solo l’Europa del Sud, ma anche la Germania, che viene richiamata perché riduca l’avanzo commerciale e sostenga la domanda interna e gli investimenti.