Dopo il rimpastone di governo che gli ha portato sì un parlamentare Ncd su quattro nel governo ma lo ha indebolito nella lotta apparente al ddl Cirinnà, Angelino Alfano tenta di riconquistare il suo elettorato, ma soprattutto, pare, di rinverdire la sua immagine di uomo d’ordine. E a Napoli, presiedendo una lunga riunione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza convocata dopo l’escalation di omicidi, si è lanciato in una proposta bomba: abbassare l’età punibile da 18 a 16 anni modificando il codice penale. «Oggi a 16 anni si conosce esattamente la gravità di un crimine che si compie», ha detto al Mattino. E poi, rispolverando un linguaggio che credevamo appartenente ad epoche passate, ha proseguito: «C’è una parola di cui non aver paura, repressione. E un’altra parola, deterrenza: ciascun cittadino, di qualunque età, deve aver paura della reazione dello Stato».
Sappiamo che il nostro ministro dell’Interno spesso va sopra le righe. Intemperanze linguistiche, come rivelare l’arresto del presunto assassino di Yara Gambirasio prima che gli organi competenti (la procura di Bergamo) ci mettessero bocca, con questo tweet: «Individuato l’assassino di Yara Gambirasio». Spirito della presunzione di innocenza tutelata nella nostra Costituzione, rivoltati nella tomba.
E poi svelando gli atti delle indagini della rapina avvenuta nella gioielleria Franl Muller in via della Spiga a Milano. Anche in quel caso il capo del Viminale annunciò: «Chiunque compia rapine o furti deve sapere che lo Stato è più forte». Senza dimenticare il caso Shalabayeva.
Tutte testimonianze del fatto che, come diceva uno che se ne intendeva, Benito Mussolini, «bisogna essere molto intelligenti nel fare opera di repressione».