Chiara Gamberale, tutti i disastri amorosi dei trentenni in cerca di sé

Il nuovo libro Adesso è un samsara di incroci fallimentari, un medaglione di citazioni dai classici, e di psicologia generazionale

I libri di Chiara Gamberale sono come canzoni. Come (la maggior parte di) queste, raccontano storie d’amore, struggimenti e ostacoli del cuore. Appaiono costruiti su una struttura semplice, che in realtà si basa su meccanismi compositivi, cioè narrativi, complessi. Sono armonici, presentano varie voci, motivi che si ripetono, frasi e parole insistite che creano un tutt’uno. L’ultimo brano della sua compilation, o come direbbe lei, «pagina di un unico libro», si intitola Adesso: è edito da Feltinelli e racconta la storia di una persona che ricomincia «a vivere, affrontando tutti i rischi della vita». Nella fattispecie, Lidia Frezzani, personaggio che i lettori affezionati conoscono bene.

È il seguito di Per dieci minuti, citato in abbondanza, che invece insegna «a riprendersi dopo che la vita ti ha colpito». Il lettore non si lasci ingannare se all’inizio uno dei personaggi (Lidia Frezzani stessa) lo definisce “stupidissimo”. Non è una ritrattazione, ride Chiara Gamberale. «È un gioco che mi piace fare, per creare legami, collegamenti tra i miei libri». Anche per essere «autoironica», nei confronti dei «detrattori», che, ci sono, certo. Ma, sottolinea con veleno, «chissà perché, sono tutti saltati fuori quando ho cominciato a vendere tanto».

«Fin da quando ero piccola ho avuto due grandi interessi: i libri e gli esseri umani». Si è appassionata alle storie che si vivono, che «possono dare e togliere» e a quelle che si leggono, che – immaginiamo noi – danno e basta. Adesso è farcito di citazioni: oltre all’esergo con Yeats e Pushkin, si gioca più volte con l’incipit di Anna Karenina, si passa per la psicologia di Marion Milner, per Javier Marías, per Chatwin. Si va a pescare nella Norma di Bellini, nelle Vite di Giorgio Vasari, fino ad affondare, grazie al dipinto di Guido Reni, nella mitologia greca, da dove riaffiora la storia di Atalanta e Ippomene.

Ma non solo: «per scrivere Adesso – spiega Chiara Gamberale – mi sono rifatta ad alcune letture importanti. C’è molto della letteratura ebraica americana: Philip Roth e Saul Bellow, soprattutto quello di Herzog, per lo stile, che mi piaceva tantissimo». Da lì «ho cercato di riprodurlo, in particolare il ricorso al discorso indiretto libero, eliminando i vari “disse che”, “pensò che”. Non è facile: si deve mantenere distinti la narrazione e il pensiero soggettivo dei personaggi senza creare confusione».

La vera confusione sembrano invece viverla i protagonisti: adulti ultratrentenni alle prese con difficoltà sentimentali, amori finiti, tradimenti e incapacità relazionali. Intorno alla vicenda principale, quella di Lidia e Pietro, si agita un samsara di incroci fugaci e fallimentari, dove c’è la psicologa condannata alla sciatteria che tenta senza successo di abbordare un librario vedovo inconsolabile e subito dopo un medico scientista che studia il dolore. O una moglie che si converte, diventa suora e chiede il divorzio. O un’erborista dai seni prosperosi, eterna vittima di uomini senza scrupoli che, dopo il sesso, la abbandonano. Un disastro.

Il sesso gode di ampio spazio nel libro. «È normale: si raccontano di relazioni di adulti, che non hanno paura né problemi a parlarne», anche se, a parte un solo caso, è sempre raccontato come ricordo, o sogno. Ma come si fa a scrivere una buona scena di sesso? «Serve che la scrittura diventi sensuale, ed è un’armonia di tono, di parole, di eleganza, di idee. Non è facile: bisogna saperlo raccontare evitando i tecnicismi, senza essere stucchevoli, senza essere pedanti. Io ho cercato di farlo rifacendomi a due testi in particolare: le Avventure della ragazza cattiva, di Vargas Llosa, e Ada e ardore di Nabokov» – e nemmeno a farlo apposta, quest’ultimo comincia citando l’incipit di Anna Karenina. Tutto si tiene, allora.

Tranne, forse, il panorama di dolore che pervade il romanzo. Oltre alle biografie traumatiche dei due protagonisti, si incontra un mondo di frustrazione, solitudine e amarezza. Gli amici di Lidia che si autodefiniscono “poveracci” in una serata d’estate possono ricordare al lettore distratto la terrazza di Jep Gambardella della Grande Bellezza, se non per il fatto che si tratta di «fricchettoni, di hippie, non di aristocratici». Vanno in vacanza in Grecia, affittano su AirBnb. «E anche se io cerco di parlare di questioni che riguardano tutti gli esseri umani, senza guardare alla classe di provenienza, il mondo in cui ambiento le mie storie è una piccola / media borghesia, dove ci sono persone che lavorano, si incontrano, soffrono, portano avanti la vita con varie difficoltà». Si distingue, in questo, dai suoi due amici scrittori come «Alessandro Piperno, che rappresenta l’alta borghesia, o Walter Siti, che invece va a scavare nei sottofondi della società». Lei preferisce «stare nel mezzo», a parlare di storie che conosce, trasfigurando l’autobiografismo.

Perché per scrivere altri libri, in altre forme («il romanzo storico?»), non è ancora il momento, «Io ho il mostro dentro», confessa, e «questo è il modo che ho per addolcire la realtà e per riuscire a sopportarla. È presa a piccole gocce, in quantità discrete, diradate, per rafforzarsi. È la mia omeopatia». Similis cum similibus, diceva il fondatore della disciplina. E si spera che funzioni anche con le persone: dopo gli incroci d’amore sbagliati si trovi, alla fine, la strada giusta. Anche non alla fine. Anche adesso.

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