Non può piovere per sempre. Ma finché succede, qualcuno gioisce: sono i produttori di ombrelli. In particolari quelli di Songxia, città ad almeno due ore da Shanghai, vero e proprio centro industriale dell’ombrello.
Secondo i dati del governo sono circa 1.200 aziende dedicate, con circa 40mila operai, che coprono l’intera filiera, dal materiale a prova d’acqua ai raggi, ai manici, ai dispositivi per lo scorrimento del meccanismo. Secondo un calcolo approssimativo, ogni operaio crea, in un anno, circa 80mila ombrelli. In totale, per tutto il distretto dell’ombrello, sono circa 500 milioni, con un fatturato intorno a otto miliardi di youan (più o meno 1,5 miliardi di euro).
Ombrelli da passeggio, da pioggia, da sole, da spiaggia, pieghevoli, per bambini, alla moda, da patio, da matrimonio, da mercato, da golf. E altri ancora, tutti made in China ma destinati a viaggiare in tutto il mondo con l’obiettivo nobile di frapporsi tra le nostre teste e la pioggia. Il primo acquirente sono gli Usa, che ne compra più della metà.
Una città che è un’industria e, al tempo stesso, un mondo. Sono milioni i cinesi che dall’interno (rurale, poverissimo) migrano a est per trovare impiego in una delle migliaia di fabbriche della zona costiera. Sonxia non fa eccezione. Le paghe sono basse e le condizioni di lavoro difficili. Ma rimane attrattiva per tutti i lavoratori che, accumulando il denaro degli stipendi, lo trasformano in rimesse per le famiglie lasciate in campagna. Del resto, non può piovere per sempre nemmeno per loro.