Parola di femminista: l’utero in affitto è sfruttamento del corpo femminile

La sociologa Daniela Danna sulla maternità surrogata. «È il maschile che cerca di impossessarsi della capacità di procreazione delle donne»

«È quando sono due uomini a volere un figlio che sorgono problemi. In che modo lo hanno avuto quel figlio?» si chiede Daniela Danna, ricercatrice in Sociologia dell’Università di Milano e autrice di numerosi libri su donne, relazioni tra lesbiche, matrimoni omosessuali. L’ultimo volume, pubblicato in inglese, affronta proprio il tema della maternità surrogata (Contract Children, 2015). «La maternità surrogata è una questione che riguarda al 95% coppie eterosessuali, e non è l’unico modo per i gay di diventare padri». Il movimento LGBT, aggiunge Danna, «ha dato per scontato che anche nelle questioni riproduttive debba esserci parità tra uomini e donne, annullando qualsiasi dibattito in proposito. Hanno semplicemente posto sullo stesso piano la maternità tra due lesbiche e la paternità tra due gay. Ma non si può dare per scontato che due uomini possano diventare padri. In che modo lo fanno? È questo che il mondo si chiede. Ci sono modi eticamente accettabili per avere un figlio, e altri no. Il problema è cosa ne è della donna che viene usata da due uomini per avere un bimbo».

«Non si può dare per scontato che due uomini possano diventare padri. In che modo lo fanno? È questo che il mondo si chiede»

Per sostenere queste ragioni, la sociologa milanese ha raggiunto lo scorso due febbraio l’assemblea nazionale di Parigi, insieme alle femministe francesi. «Ci siamo radunate per chiedere al Consiglio d’Europa una convenzione internazionale che abolisca la maternità surrogata a pagamento. Non esiste una Gpa etica», dove Gpa sta per Gestazione per altri, regolata da un contratto. Non ci può essere, ritiene la ricercatrice, un contratto che obbliga una donna a separarsi dal bimbo al momento della nascita. Nonostante all’inizio abbia accettato di farlo. Nonostante riceverà un compenso in denaro. «Durante i nove mesi di gravidanza si instaura una relazione. E la madre deve poter cambiare idea». Deve poter decidere anche, ad esempio, di interrompere la gravidanza.

«La maternità non può essere surrogata. Una madre non è mai un sostituto. È madre vera e lo è per sempre»

Danna tiene a precisare che non si dovrebbe nemmeno parlare di “maternità surrogata”. La maternità non può essere finta. Perché è la relazione fisica che si instaura tra una donna e il bambino che porta in grembo. Quella donna sarà madre di nascita vera, e non finta, per sempre. Anche se non alleverà il figlio. «Chiedo l’abolizione di ogni contratto e di ogni forma di pagamento».

La società patriarcale da secoli sfrutta la capacità riproduttiva delle donne, costringendole dentro relazioni e strutture sociali inique

È proprio lì, in coloro che non hanno il potere di portare in grembo un figlio, ma desiderosi di averne uno per sé, che si annida il rischio di una nuova forma di sfruttamento del corpo femminile. Ed è sempre lì, secondo Danna, che si ripropone ancora una volta il dominio del maschile sul femminile, in una società patriarcale che da secoli sfrutta la capacità riproduttiva delle donne, costringendole dentro relazioni e strutture sociali inique, per impossessarsi della prole e di un processo, la maternità, da cui gli uomini sono quasi del tutto esclusi, a parte l’apporto biologico iniziale. Un tema, questo, che la sociologa ha ampiamente affrontato nel pamphlet Il genere spiegato a un paramecio. «Ci sono in America giovani eterosessuali che si rivolgono a cliniche private per commissionare un bambino. Nonostante siano eterosessuali, cercano di bypassare la presenza materna», racconta.

«La madre coinvolta, lo deve fare in piena libertà, gratuitamente, con la possibilità di tornare sui suoi passi fino all’ultimo»

Se Danna ammette la possibilità per le coppie gay di riconoscere il figlio del partner, pone però alcune condizioni. «Dietro la nascita di quel bambino non ci deve essere scambio di denaro. È importante per Danna che la madre coinvolta lo faccia in piena libertà, con la possibilità di tornare sui suoi passi fino all’ultimo. «Solo così si riconosce la facoltà di generare della donna». Il figlio, inoltre, deve avere connessione genetica con uno dei due padri, per impedire il mercato di ovuli e spermatozoi». L’ultima condizione posta dalla ricercatrice, però, apre mille altri punti interrogativi.

Eppure, la scelta di partorire un figlio per altri non è priva di conseguenze sul nascituro

«La stessa donna deve essere cosciente che l’interruzione del rapporto naturale instaurato dal bambino nei nove mesi di gravidanza lascerà conseguenze su di lui e sulla sua vita futura. «Non ho trovato ricerche che dimostrano che un bimbo adottato da una coppia gay e allontanato dalla madre abbia traumi indelebili. I neonati sono creature adattabili. Ma certo la gestazione non è priva di significato, né per la mamma né per i nascituri. Di questo occorre essere consapevoli».

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