Seguire i labirinti delle parole può portare a sorprese, confusioni e smarrimenti. Ogni vocabolo ha una storia, difficile sempre da ripercorrere, e attaccarsi alle indicazioni dell’etimologia può non essere sempre risolutivo. Ad esempio, come sanno tutti (almeno chi ascolta i Chemical Brothers), per dire “ragazza”, in inglese, si usa la parola “girl”. Chiaro, limpido come l’acqua limpida. E invece no. Almeno, non è sempre stato così.
Come si spiega qui, nel passato “girl” non significava ragazza, ma “fanciullo, persona giovane”, riferito a entrambi i sessi. La sua origine non è chiara: secondo alcuni, deriverebbe da *gyrele, una parola non registrata da nessuna parte (per cui è solo una supposizione) che fungerebbe da tramite tra il proto-germanico *gurwilon–, altra parola non documentata, a sua volta diminutivo di *gurwjoz, che nemmeno è mai stata documentata, e che però sarebbe rappresentata in Basso Tedesco gære, che significa “ragazzo, ragazza”, e nel norvegese dialettale gorre, cioè ragazzino. Sembra convincente? Proprio no, al momento non ci sono conferme ed è probabile che non ci saranno mai. È però l’ipotesi più accreditata dagli studiosi, per cui conviene accettarla. Resta una certezza, cioè che seguendo questi sentieri si arriva, alla fine, più confusi che all’inizio.
E “ragazzo”, allora? “Boy” è documentato, nel 1300, nella forma boie, di origine altrettanto oscura. Forse dal francese embuie, che vuol dire “incatenato”, a sua volta dal latino boia, che appunto significa “gogna” o “collare in cuoio” e lascia suggerire che in origine il ragazzo, cioè il boy, altro non fosse che “lo schiavetto”, il “servitore”, come del resto accade in tutte le lingue europee.
Per fortuna le parole non sono le cose, altrimenti la conclusione più logica sarebbe che, qualche secolo fa, i ragazzi erano tutti alla gogna e le ragazze, poverelle, non esistevano.