Selvaggia Lucarelli: «Sui social sono una dittatrice illuminata»

Furiosi, invidiosi, frustrati, così smaschero i miei haters: «La rete non è un gioco o un luogo inventato, ormai è una parte della realtà a tutti gli effetti. Quello che non puoi fare in strada o al bar non lo devi poter fare nemmeno sul web»

L’odio in rete riguarda tutti, ormai. Ne abbiamo già parlato con Paolo Ruffini, autore di un libro intitolato Odio ergo sum per Mondadori, e oggi torniamo a parlarne con Selvaggia Lucarelli, giornalista del Fatto Quotidiano ed è, suo malgrado, molto esperta dell’argomento.

Mentre in molti scelgono l’indifferenza o, come Paolo Ruffini, l’ironia, Selvaggia Lucarelli ha un piglio particolare nell’affrontare il problema, un piglio da “dittatrice illuminata”. E non soltanto interviene nei suoi spazi social per fermare sul nascere tutto ciò che è “cattiveria gratuita” e che non è contenuto, ma va anche oltre, come quando, in radio, rintraccia alcuni dei suoi hater e li mette davanti alle loro parole, chiedendo loro il perché. Sono i cosiddetti “Leoni da tastiera”, lupi famelici al riparo dell’anonimato che diventano agnellini quando il quel riparo sparisce e ci si ritrova a fare i conti con la realtà.

Selvaggia, quali sono i motori dell’odio in rete?
Sono diversi elementi secondo me. Prima di tutto iI fatto di poter agire nell’illusione di rimanere completamente anonimi e quindi impuniti. Per questo mi diverto spesso a tentare di capire chi sono queste persone, e gli telefono, cerco il contatto con loro perché mi diverte scoprire quali sono le reazioni di questa gente quando capiscono che non è un universo parallelo, che è proprio la mia la voce che sta parlando loro e che il mondo nel quale mi hanno insultata e aggredita non è un universo parallelo o un mondo inventato tipo Narnia o Topolinia, ma solo un’altra versione della realtà.

«Il web non è un universo parallelo o un mondo inventato tipo Narnia o Topolinia, ma solo un’altra versione della realtà»

Ci sono altre cause?
Sì certo, ce ne sono un’infinità. Un altro motore importante e potentissimo è l’invidia, per esempio. Io credo che sia anche per il fatto che oggi tutti condividiamo tutto, continuamente. Abbiamo creato un ambiente dominato dall’invidia sociale e questi sono i risultati. E poi, ancora, l’accessibilità, nel senso della sensazione di poter arrivare a influire sulla vita di chiunque, sia in modo positivo che in modo negativo, soprattutto dei personaggi famosi. I personaggi che prima eravamo abituati a vedere come lontanissimi ora, grazie ai social network, ci sembrano a portata di mano, e quindi anche di insulto, di critica.

Che ruolo ha l’effetto branco?
È un amplificatore. Se non sei l’unico che urla in mezzo alla folla è più facile che ti metti a urlare. Se sei in un ambiente in cui tutti si alzano e gridano qualsiasi cosa contro chiunque, allora è più facile che tu lo faccia insieme a loro, anche se poi, preso singolarmente, non sei un lupo, ma un agnellino.

«Se sei in un ambiente in cui tutti si alzano e gridano qualsiasi cosa contro chiunque, allora è più facile che tu lo faccia insieme a loro, anche se poi, preso singolarmente, non sei un lupo, ma un agnellino»

Quanto è legata all’avvento di internet questa dinamica??
Tanto, perché internet ha dato a molti la sensazione di essere un facile trampolino per il successo e di conseguenza ha creato una frustrazione diffusa in chi non riesce a sfruttarlo. Se ti sei costruita anche grazie alla tua presenza online, in molti tendono a pensare che tu abbia solo avuto fortuna, che non te lo sia meritato. Il problema è che pensano che internet sia un luogo democratico e che a parità di sforzi dovrebbe dare a tutti gli stessi risultati.

E invece?
È un’illusione. Internet non è affatto democratico, è totalmente meritocratico perché alla fine ti mette in diretto contatto con il pubblico, senza bisogno di padrini, eminenze grigie o raccomandazioni. Questo però fa sì che tutti pensino che grazie a internet tutti possano fare tutto, dai giornalisti agli esperti di qualsiasi cosa. La rabbia e l’invidia sociale sono sempre le stesse, causate sempre dalla stessa dinamica che sottende al mondo: c’è chi ce la fa e c’è chi non ce la fa.

Ma queste cose non esistevano prima?
Certo che sì. Non credo che si possa mai dire che le vecchie generazioni siano migliori di quelle nuove. I giovani di oggi non sono peggiori di quelli di 20 anni fa, hanno solo più strumenti per amplificare la loro stupidità, spesso legata all’età e una immaturità di fondo. E credo che questa cosa colpisca anche tutti noi. Un tempo criticare qualcuno costava molta fatica, anche a livello pratico. Oggi per mandare a fare in culo qualcuno bastano 3 secondi netti. Probabilmente quello stessi vaffanculo, se costasse 10 minuti, morirebbe sul nascere.

«I giovani di oggi non sono peggiori di quelli di 20 anni fa, hanno solo più strumenti per amplificare la loro stupidità»

J Ax una volta disse che gli hater aumentano il fatturato. Cosa intendeva? A chi serve che esistano gli hater?
Sul web, in particolare nella valutazione di mercato di un account social, esiste una cosa che si chiama tasso di engagement, che semplicemente è la potenza di fuoco che un tweet, un post su Facebook o una foto su Instagram hanno sul pubblico. Quanti retweet, quanti like, quante condivisioni o quanti commenti sei in grado a generare. Gli haters fanno aumentare tantissimo questa metrica, perché generano commenti, che pur essendo cattivissimi e spesso a livello di meri insulti, fanno numero, e generano anche vortici di insulti che moltiplicano a loro volta quelle metriche.

A livello di marketing non conta il “mood” del tuo pubblico?
Quando vai da una azienda e fai vedere che hai 90mila follower e ti retwittano in 40mila, all’azienda non importa molto se quei follower ti amano o ti odiano, in realtà non si pongono nemmeno la questione o non sanno come misurarlo. Per loro è traffico. Stando così le cose c’è anche chi se ne frega di amministrare i propri spazi e tenerli puliti e in ordine perché punta solo ai numeri, e non alla qualità del suo pubblico.

Tu come ti regoli?
Per me un engagement sano è quello di un pubblico che discute con rispetto reciproco, non quello di chi si insulta dalla mattina alla sera. L’engagement di Belen — ti ho detto lei ma potrei dirtene molte altre — a me non interessa.

«Non mi faccio aiutare da nessun social media manager. Non mi fido di nessuno. È il mio spazio, ha il mio stile, c’è quello che penso, ci metto la faccia e voglio gestirlo in prima persona. Non funzionerebbe se ci fosse qualcun altro al posto mio»

Come fai a mantenere la pulizia nei tuoi spazi?
Personalmente applicando una dittatura illuminata sui miei spazi social. Non ritengo che democrazia sia far entrare in casa mia chiunque e permettere a chiunque di dire qualsiasi cosa. Un social network rimane pur sempre uno spazio personale, anche se è potenzialmente accessibile a tutti. È mio, mi appartiene, quanto meno come gestione — perché forse in realtà appartiene al signor Zuckerberg — e resta uno spazio che gestisco io alle mie regole. In casa tua ci faresti mai entrare qualcuno che ti insulta.

È solo una questione di rispetto?
No, è anche una questione di interesse. Io voglio che i miei spazi su Facebook o altrove siano luoghi di discussione, dove i commenti siano interessanti quanto il post di partenza, dove i miei follower possano trovarsi bene e trovare cose interessanti anche nelle discussioni tra di loro.

E funziona?
Direi di sì. Anche perché ho notato che c’è anche chi viene e legge quasi soltanto i commenti. È diventato un grande forum. Gestisco tutto io, non mi faccio aiutare da nessun social media manager. Non mi fido di nessuno. È il mio spazio, ha il mio stile, c’è quello che penso, ci metto la faccia e voglio gestirlo in prima persona. Non funzionerebbe se ci fosse qualcun altro al posto mio. Anche perché scommetto che se ne accorgerebbero tutti immediatamente.

Se dovessi pensare a un modo “istituzionale” per tenere a bada gli hater, come ti comporteresti?
Ci sono casi in cui le sfumature non ci sono. Io partirei da quelli. È il minimo. Per esempio, bisogna che ciò che è reato fuori da internet diventi percepito come reato anche dentro internet. La rete non è un gioco o un luogo inventato, ormai è una parte della realtà a tutti gli effetti. Quello che non puoi fare in strada, in piazza o al bar, non lo devi poter fare nemmeno sul web. Non mi sembra nulla di assurdo, anche a casa nostra non possiamo fare tutto quello che ci passa per la testa, perché dovremmo poterlo fare su internet.

Facebook dovrebbe avere un ruolo attivo?
Credo che Facebook dovrebbe agire in maniera più strutturata di così, no so se dovrebbe investire in personale dedicato, ma dovrebbe sicuramente dimostrare di voler fare qualcosa per limitare la virulenza del fenomeno.

E invece?
E invece sembra che vada al risparmio, o forse che non gli interessi la qualità ma la quantità. Ma così com’è rischia di diventare un posto pericoloso: è una macchina gigantesca senza sentinelle, completamente allo sbando. Per controllare e filtrare le immagini basta un software — anche se poi rischi di censurare un quadro perché mostra un seno — per controllare e filtrare i contenuti scritti un computer non basta, se non nei casi estremi, servirebbe un controllo umano.

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