Doveva essere sembrata a tutti un’ottima idea. Mandare una donna incinta in Antartide per farla partorire. Nonostante sembri assurdo, è successo davvero. Verso la fine del 1977, le autorità argentine inviarono nella base nazionale Esperanza, sulla punta del territorio antartico, Silvia Morello de Palma, incinta di sette mesi. Ardente nazionalista, moglie di un comandante militare, accettò l’ardua missione di dare luce al primo essere umano antartico-argentino. Obiettivo: appoggiare le rinvendicazioni del governo sulla sovranità dell’area.
“L’Antartide (o almeno, una parte) è nostra”, dicevano a Buenos Aires. Tanto che era illegale presentare mappe del Paese senza Falkland e senza i territori antartici, la Anctàrtica Argentina, i cui limiti non sono chiari. Ci sono, poi, anche altri attori interessati alla zona: gli antichi rivali cileni e, come sempre quando c’è da litigare, gli inglesi.
Il problema è che ogni pretesa nazionale non poggia su basi molto sicure. Il Trattato Antartico, firmato nel 1959 da 53 Paesi, compresi (guarda un po’) Argentina, Cile e Inghilterra, annulla ogni rivendicazione avvenuta precedente e impedisce ogni rivendicazione successiva. Chissenefrega. Sia Argentina che Cile e Inghilterra (e, in misura minore, Francia e Nuova Zelanda) continuano a sostenere la loro sovranità sull’area, con tanto di bandiere specifiche. Certo, bisogna decidere bene i confini, specificare le basi giuridiche, ma sono quisquilie. L’Antartide è una torta da dividere, e loro sono i commensali invitati.
Ma come si decide chi abbia più diritto rispetto agli altri? Ogni Paese fa valere le sue ragioni. L’Inghilterra conta sulla presenza storica, mentre Cile e Argentina si basano sulla prossimità territoriale e la continuità orografica (oltre che un’antica richiesta fatta dalla Spagna nel 1493). A Buenos Aires, poi, si sottolinea che sul continente ci sono più argentini che individui di ogni altra nazionalità messi insieme. Ma non basta, non basta mai. Nessuno riconosce le conquiste dell’altro. E per questo, ecco il colpo di genio: far nascere il primo uomo antartico. Che sarà di nazionalità argentina.
Il 7 gennaio 1978 l’operazione può dirsi riuscita. Dopo due mesi nella base, con una struttura preparata allo scopo, Silvia de Palma dà alla luce il piccolo Emilio, il primo a far sentire i suoi vagiti in quell’angolo di mondo. Nessuno, fino ad allora, era nato così a sud. Una fatica improba per la patria, e purtroppo vana. La presenza del primo antartico nativo non si è rivelata risolutiva. La disputa territoriale è ancora viva e, anzi, negli anni ’80 sono nati altri dieci bambini nelle basi antartiche: sette argentini e tre cileni. Un baby boom, si direbbe. La battaglia continua.
E il piccolo Emilio, intanto, è cresciuto tranquillo e felice. Ha un passaporto “mondiale” e uno nazionale. La storia della sua nascita, spiega, è sempre un simpatico argomento di conversazione. Anche se, ammette, “non ha molto effetto con le ragazze”.