Sarà che i crimini contro le aziende si fanno più sofisticati, a partire dal cybercrime. Sarà che mancano i controlli interni e che le funzioni di “fraud risk management” scarseggiano. Fatto sta che le società italiane spesso non si accorgono di subire furti o varie altre forme di frodi. In un caso su quattro a intercettarle finiscono per pensarci le forze dell’ordine. In Italia, almeno, perché su scala globale questo accade solo una volta su venti. A dirlo è una ricerca di Pwc, “Global Economic Crime Survey”, edizione 2016. Siamo ciechi noi o abbiamo una polizia migliore delle altre? «È un effetto combinato», risponde Elisa Stefanoni, manager di Pwc Forensic e autrice dell’addendum italiano allo studio assieme al socio di Pwc Alberto Beretta. «Le forze dell’ordine negli ultimi due anni in particolare hanno svolto un grande lavoro. I risultati sono dovuti all’attività dell’Anac (l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, ndr) e ai maggiori controlli sul fronte degli appalti. Ma i dati ci dicono anche che le aziende arrivano in ritardo», perché in generale meno della metà degli eventi fraudolenti viene individuato con sistemi di controllo interno.
Non che tutto quello che viene dall’Anac sia oro. Prendiamo le norme sul whistleblowing, le procedure interne alle aziende che permettono – attraverso telefoni o email dedicati – di denunciare internamente le frodi di cui si viene a conoscenza. Rese disponibili dalle linee guida dell’Anac e dalle nuove normative, sono servite a smascherare solo il 3% dei crimini contro le aziende. Siamo agli inizi, possiamo solo migliorare. D’altra parte è la stessa quota di frodi scoperte dalla stampa. E qui di miglioramenti non se ne vedono.
Le denunce tramite whistleblowing, reso possibile dalle linee guida dell’Anac, sono servite a smascherare solo il 3% dei crimini contro le aziende. Siamo agli inizi, possiamo solo migliorare. D’altra parte è la stessa quota di frodi scoperte dalla stampa. E qui di miglioramenti non se ne vedono.
Quando parliamo di crimini contro le aziende parliamo soprattutto di appropriazioni indebite (in pratica furti e altre attività che sottraggono beni), di cui sono vittime sette aziende su dieci. Rispetto a due anni fa, la percentuale è salita di 5 punti, è di gran lunga superiore alla media europea. Vinciamo per distacco, si fa per dire, anche per la corruzione (subita e denunciata), mentre alla terza voce, il cybercrime, siamo relativamente ancora al sicuro: ne è stata vittima un’impresa su cinque, contro il 42% della media dell’Europa occidentale. Molte di più sono quelle che ritengono il cybercrime il vero pericolo da fronteggiare nei prossimi anni. Per quanto la cronaca ci parla quotidianamente di scandali legati a falsi in bilancio ed evasioni fiscali, un confronto europeo e globale ci rassicura: siamo all’incirca in linea con gli altri.
La disattenzione delle imprese, che spesso non hanno sistemi di controllo adeguati, è grave perché le perdite causate dai crimini economici (sia direttamente, sia per le spese legali) sono alte. Solo un dato: nel 7% dei casi sono perdite superiore ai 5 milioni di euro. La media globale è del 4 per cento. Forse è il caso di correre ai ripari.