Trieste – Giovani, carini e scaricati: gli startupper non hanno vita facile e per uno che ce la fa cento alzano bandiera bianca. Accade ovunque, nel mondo. Ma in Italia è peggio, perché anche un’idea buona raramente trova benzina per andare avanti. A meno di guardare oltre i confini. Gli incubatori si moltiplicano, le leggi migliorano, il fondo di garanzia dà almeno una spinta iniziale, ma i numeri vanno detti, in tutta la loro brutalità: in Italia gli investimenti in venture capital (cioè in aziende ad alto rischio nelle loro fasi iniziali) nel 2015 sono stati pari a 0,1 miliardi euro. Tanto o poco? In Francia sono stati 1,8 miliardi. In Germania 2,6 miliardi. Nel Regno Unito 4,3. Nell’area di New York 7. A San Francisco, la Silicon Valley, 27 miliardi. Ora. Ci si può strappare le vesti o guardare a quello che di buono sta accadendo per invertire la rotta. Una delle strade più promettenti sembra essere quello della “open innovation”, che mette in contatto le grandi imprese e le piccole: possono divenire fornitori delle grandi, fare accordi che facilitino la visibilità internazionale, o semplicemente essere comprate. Meglio però che spegnersi senza lasciare traccia. Un mattoncino di questo mosaico non è arrivato da Milano, capitale delle imprese innovative italiane, ma dal profondo e sonnacchioso Est: Trieste.
In Italia gli investimenti in venture capital (cioè in aziende ad alto rischio nelle loro fasi iniziali) nel 2015 sono stati pari a 0,1 miliardi euro. Tanto o poco? In Francia sono stati 1,8 miliardi. In Germania 2,6 miliardi. Nel Regno Unito 4,3. Nell’area di New York 7. A San Francisco, la Silicon Valley, 27 miliardi
Città fascinosa ma vecchia, età media 47 anni, mezza spopolata, ha avuto un Novecento “di grandi dolori e grandi chiusure”, per citare le parole del sindaco Roberto Cosolini. Chiusa in un angolo d’Italia, lontana cinque ore buone da Milano e con la cortina di ferro a toglierle il fiato, è vissuta largamente di interventi pubblici. Uno di questi, però, ha creato le premesse per un nuovo sviluppo: si tratta dell’Area Science Park, una creatura pubblica (che sottostà al ministero dell’Istruzione, università e ricerca) che al suo interno ospita in primo luogo le meraviglie della fisica di base e applicata del sincrotrone. Poi, però, c’è la parte dedicata a far crescere le imprese di carattere scientifico. L’Area Science Park ne ha fatte crescere 45, di cui sei arrivate all’exit. Tanto o poco? Poco, ma sono gli stessi numeri che vanta un incubatore quotato all’Aim di Borsa Italiana come Digital Magics. Una di queste imprese, chiamata Teorema, però, non si è limitata a crescere, arrivando a oltre 120 dipendenti tra Trieste, Milano e Padova. Ha deciso di creare un esperimento del tutto nuovo, da queste parti: un nuovo tipo di incubatore, al cui funzionamento concorressero essa stessa, il parco scientifico, l’università di Trieste. Ma soprattutto una grande impresa come Microsoft.
ll laboratorio Elettra, all’interno dell’Area Science Park di Trieste
Teorema, una società di informatica ospitata nell’Area Science Park di Trieste, ha creato un nuovo tipo di incubatore, al cui funzionamento concorre essa stessa, il parco scientifico, l’università di Trieste. Ma soprattutto una grande impresa come Microsoft
I numeri di Tilt, il nome dell’incubatore, sono quelli di un embrione. Due aziende selezionate (app&map, che fa servizi per il retail, e M2Test, tecnologie portatili per la diagnosi dell’osteoporosi) e , una prospettiva di arrivare a 10 dopo il bando di giugno e a 20-30 nel giro di un paio d’anni. Saranno tutte startup nel settore dell’information and communication technology, ossia di informatica. L’obiettivo è tenerle a Trieste, creando un ecosistema. Grazie a un accordo appena siglato con Invitalia Ventures (fondo da 50 milioni di euro in cui a ogni euro pubblico corrisponde un euro da privati) ciascuna startup riceverà una media di 100mila euro per il primo round. Ma è proprio la presenza di Microsoft a qualificare il progetto.
La multinazionale di Redmond non si limiterà a fornire la tecnologia per tre anni alle società. Ha intenzione di portare le startup che nasceranno a Trieste a Milano, a incontrare un gruppo di 7-8 grandi imprese. Con esse ci saranno le startup che verranno dagli altri incubatori dove Microsoft ha già messo il naso e dove lo metterà. Tra i primi ci sono il Polihub (acceleratore del Politecnico di Milano), I3P (Politecnico di Torino), Luiss Enlab (Roma), H-Farm (storico incubatore, ora quotato, tra Treviso e Venezia). Per i nuovi luoghi da cui pescare, si parla di Genova, ma anche di città del Sud: sotto osservazione ci sono Cosenza e Catania.
La multinazionale di Redmond non si limiterà a fornire la tecnologia per tre anni alle società. Ha intenzione di portare le startup che nasceranno a Trieste a Milano, a incontrare un gruppo di grandi imprese. Con esse ci saranno le startup che verranno dagli altri incubatori dove Microsoft ha già messo il naso e dove lo metterà
«Crediamo nella cross-fertilizzazione» ha spiegato l’amministratore delegato e presidente di Microsoft Italia, Carlo Purassanta. «Le Pmi possono dare idee alle grandi aziende. Le grandi aziende hanno un vantaggio a conoscere l’innovazione di una startup, a finanziarla e magari a comprarla. Vogliamo fare da catalizzatore a Milano per trovare grandi aziende che peschino dalle startup, anche di Tilt». I dettagli non sono ancora noti, perché faranno parte di un progetto chiamato “Grow it up”, che sarà presentato a Milano il prossimo 7 aprile. Verterà su dieci settori considerati ad alto potenziale, dal “mare” («dove i francesi hanno individuato una priorità di investimenti in infrastrutture», dice Purassanta) alla ricerca sui materiali, dal cibo ai tessuti. A una decina di startup per “settore” sarà data l’opportunità di mettersi in contatto con 7-8 grandi imprese. Si tratterà di trasferimenti di conoscenza, con manager che le corporation metteranno a disposizione per parlare di strategie di marketing o di finanza, ma anche di opportunità commerciali, in un rapporto tra nani e giganti meno sbilanciato del solito.