Se Brexit sarà, sarà anche la fine della “correzione britannica”. E sarebbe ora, perché mentre i partiti euroscettici si preparano al referendum e David Cameron ha ottenuto la gran parte delle esenzioni che ha richiesto, noi paghiamo per correggere gli squilibri di bilancio del Regno Unito. Neanche poco: solo nel 2014 abbiamo sborsato 1,2 miliardi di euro. Un vero boom, con un incremento della spesa del 29 per cento, ossia 300 milioni in più in un solo anno girati a Londra.
Com’è possibile? La storia non è nuova. Tutto parte dalla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che “ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito” . In realtà il Regno Unito è l’unico Paese dell’Ue, fino a oggi, ad aver usufruito dello specifico beneficio.
Le conseguenze che tuttora ne derivano agli interessi italiani, spiega una nota della Corte dei Conti, sono rilevanti dal punto di vista finanziario, dato che l’onere a carico del nostro Paese nel settennio 2008-2014 ammonta complessivamente a 6,7 miliardi.
Solo nel 2014 abbiamo sborsato 1,2 miliardi di euro per la cosiddetta “correzione britannica”. Un vero boom, con un incremento della spesa del 29 per cento, ossia 300 milioni in più in un solo anno girati a Londra
Saldo negativo per 5,4 miliardi
Non è l’unica fregatura per l’Italia, se vogliamo dirla tutta. Basti un dato: la flessione degli accrediti ricevuti dall’Unione per la realizzazione dei programmi europei è stata del 15,1 per cento.
È vero che anche noi abbiamo versato meno contributi (-7,5%, per un totlale di 15,9 miliardi), ma il saldo è peggiorato: prima era negativo per 4,9 miliardi, nel 2013, un anno dopo è diventato di 5,4 miliardi. Siamo sempre più nella fascia dei Paesi che ottengono meno soldi di quanto versano, al pari di nazioni molto meno colpite dalla crisi, come Germania e Francia. Sembra che non avesse tutti i torti Matteo Renzi, quando il 16 febbraio scorso dal Ghana disse: «È finito il tempo in cui l’Europa ci dice cosa dobbiamo fare: noi diamo a Bruxelles venti miliardi e ne riceviamo undici». Le cifre sono leggermente diverse da quelle diffuse dai magistrati contabili, ma la sostanza non cambia.
Dove abbiamo perso i fondi comunitari? Soprattutto alla voce “Coesione economica, sociale e territoriale”, cioè quella che serve a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sue varie regioni. Tradotto: meno soldi per il Sud. Sono stati pari a solamente 4 miliardi, quasi il 30% in meno rispetto all’anno prima. Giù anche la voce “Competitività per la crescita e l’occupazione”, un -21% (che porta il contributo a 700 milioni), che arriva in tempi di disoccupazione record, soprattutto giovanile.
Il boom delle frodi
Ci sono però anche altri problemi. Quello che più salta all’occhio è l’aumento delle frodi. E qui la figuraccia è tutta nostra: non solo le irregolarità fraudolente sono aumentate tra il 2013 e il 2014 (da 633 a 710), ma la loro incidenza finanziaria totale, pari a ben 176 milioni di euro, è salita del 74 per cento. Addirittura raddoppiato (+101%) è poi il valore delle irregolarità considerate non fraudolente.
Le irregolarità fraudolente nell’utilizzo dei fondi Ue sono aumentate tra il 2013 e il 2014 (da 633 a 710), ma la loro incidenza finanziaria totale, pari a ben 176 milioni di euro, è salita del 74 per cento. Addirittura raddoppiato (+101%) è poi il valore delle irregolarità considerate non fraudolente
La toppa del Piano di azione coesione
Da quanto spiega l’analisi della Corte dei Conti sono comunque state messe delle toppe allo spreco di fondi Ue e alla perdita secca dei finanziamenti a causa delle responsabilità soprattutto delle regioni e in particolare di quelle meridionali. Tutto nasce dal “Piano di azione coesione” elaborato nel 2011, d’intesa con la Commissione europea, che ha portato a una revisione strategica dei programmi. La chiave è stata la riduzione della quota di co-finanziamento nazionale, tenendo ferme le risorse comunitarie. Così, l’Obiettivo Convergenza, che beneficia degli stanziamenti più importanti destinati a quattro regioni del Mezzogiorno, ha potuto evitare di perdere oltre 13 miliardi di euro. È scesa la quota di finanziamento nazionale, mentre sono rimaste invariate le risorse comunitarie attribuite.
Ritardi, emergenze e la nuova Agenzia
La Corte dei Conti non fa comunque sconti su come sia stata gestita male la questione dei fondi Ue. «L’intero settennio 2007-2013 è stato caratterizzato da una logica emergenziale, con assestamenti finanziari – indubbiamente necessari (si pensi ai due eventi sismici del 2009 e 2011) – che hanno pesantemente influito su una capacità programmatoria e gesionale non in linea con le aspettative della Ue, non sempre adeguata e spesso poco aderente alle esigenze dei territori».
Qualche nota di ottimismo viene però dalla costituzione dell’Agenzia per la coesione territoriale, che è divenuta operativa nel novembre 2014. Ha il compito di svolgere verifiche e monitoraggi più sistematici nell’utilizzo delle risorse, di fornire maggior sostegno alle amministrazioni e alle regioni e di assumere, in alcuni casi, poteri sostitutivi. Se le regioni sono il nostro pozzo senza fondo, il buon senso suggerisce che un po’ di centralismo metta un tappo. La Corte si aspetta anche che i fondi per il periodo 2014-2020 siano usati meglio, perché un accordo di partenariato tra Italia e Commissione europea prevede una programmazione più trasparente e verificabile. I conti, come sempre, si faranno alla fine.