Al terzo Meme in bianco e nero con la foto di un Bernie Sanders giovane e riccioluto – in un corteo per i diritti dei neri, durante un’assemblea studentesca, portato via da due agenti di polizia – ti chiedi che cavolo di campagna elettorale stiano facendo questi americani. Ti stupisci. Approfondisci. Trovi un sondaggio di un mese fa tra i Millennials americani. “Con quale personaggio famoso vorresti andare a cena?”. Leggi che il più quotato è stato Sanders, solo seconda Beyoncè. Ti ri-stupisci. Ricontrolli. Trovi che uno dei perni della campagna di Sanders è un video (540mila condivisioni) che sintetizza in otto minuti decine di interventi pubblici dal 1985 al 2015 a favore della “poor working class”, con un palese sottotesto: quest’uomo combatte la stessa battaglia da trent’anni. E sei al punto di partenza: nel Paese che iconizza la giovinezza, la novità, l’appeal televisivo, che razza di campagna è quella di un settantenne che esibisce rughe, età e guerre perse come una medaglia? E soprattutto, perché funziona? Perché i ragazzi si tingono di bianco ciocche di capelli in suo onore? Perché la furba Miley Cyrus annusa l’aria e fa endorsement in suo favore?
Le emozioni dell’elettorato hanno cambiato segno. L’età e il radicamento in politica non sono più un handicap ma una risorsa
Avvertenza. Non si ipotizza qui un possibile successo di Sanders alle primarie democratiche. Ha vinto in alcuni stati con percentuali schiaccianti, ma è a quota 1004 delegati contro i 1712 di Hillary Clinton, difficilmente la partita sarà sua.
E però vale la pena di ragionare sul fatto che dopo un decennio di “ideologia del nuovo” dove la politica vinceva puntando sull’inedito – l’imprevedibile stagione di Obama, giovane e nero – le emozioni dell’elettorato hanno cambiato segno. L’età e il radicamento in politica non sono più un handicap ma una risorsa.
E la biografia in carne, ossa e cortei, la reputazione conquistata attraverso l’esperienza, costituisce all’improvviso una potente molla del consenso più di ogni storytelling costruito a tavolino. Nel racconto ideale di Sanders non c’è bisogno di costruzione giornalistica e mediatica perché ci sono lì, pronte e non falsificabili, centinaia di immagini d’epoca a fare testo: Bernie che marcia contro il Vietnam e poi contro ogni tipo di guerra, Iraq compreso; Bernie che parla di ceti deboli nelle assemblee, dai palchi del comune di Burlington di cui è stato sindaco, e infine da candidato presidente; Bernie che dice “Non piaccio a Wall Street e ricambio la diffidenza” a 18 anni come a 30, 50, 70.La generazione dei selfie, insomma, riconosce il valore della politica pre-selfie, e si avrebbe voglia di lanciare un warning ai partiti italiani – alla sinistra in particolare – che in nome della rottamazione e dei tempi nuovi hanno buttato acqua sporca, spugna e bambino.
Se è vero (ed è vero) che la politica americana interpreta e anticipa la percezione collettiva delle cose, l’ostentazione giovanilista è out. Cosiccome il vecchio ottimismo della volontà riciclato in salsa anti-gufi, il gergo da muretto nei post governativi, le punturine anti-rughe sul contorno labbra. La lotta di classe anagrafica resiste, ma ha cambiato segno: la reputazione, la storia, il passato, contano più della data di nascita, anche perché i Millennials sono piuttosto scafati e sanno che si può essere nuovi e difendere poteri vecchi, e viceversa.Prendiamo i giovani leader della nostra Terza Repubblica. Il loro album di famiglia contiene più foto di quiz televisivi – la Ruota della Fortuna per Matteo Renzi, Il Pranzo è servito per Matteo Salvini – che nobili scatti di battaglia, ed è impossibile anche solo immaginarli da ragazzi impegnati in una causa che non fosse la conquista di una posizione personale
È ancora presto per dire se Sanders farà tendenza, e di sicuro in Italia non esiste una figura comparabile con lui, però l’idea di un vento che cambia c’è e l’anemometro andrà tenuto d’occhio. L’intera costruzione della politica italiana, da un ventennio, bada più al messaggio che al contenuto e cerca consenso adattando alle sue esigenze un vecchio aforisma di Stephen King: “Non è la storia, è come la racconti”. Il successo di Bernie ci riporta su terreni più solidi, dove succede l’esatto contrario. La storia conta più di come la racconti. I contenuti hanno un peso specifico superiore alle costruzioni romanzate. La reputazione ha un gradiente emotivo che luccica nella fabbrica di personalità artefatte che ha preso il posto della formazione politica, trasformando in rappresentanti del popolo persone senza alcun tipo di passione oltre al potere.
È facile capire quanto ciò sia arduo da affrontare per i giovani leader della nostra Terza Repubblica. Il loro album di famiglia contiene più foto di quiz televisivi – la Ruota della Fortuna per Matteo Renzi, Il Pranzo è servito per Matteo Salvini – che nobili scatti di battaglia, ed è impossibile anche solo immaginarli da ragazzi impegnati in una causa che non fosse la conquista di una posizione personale. Hanno tuttavia la fortuna che i vecchi politici, in Italia, non sono molto dissimili da loro e spesso hanno biografie letteralmente impresentabili.
Possono quindi dare un’occhiatina a Sanders senza sentirsi minacciati da sue repliche italiane, e magari trarne qualche utile insegnamento per le loro carriere, al momento piuttosto arenate sulla spiaggia del nuovismo fine a se stesso.