Le vendite di abitazioni all’asta non hanno fatto altro che crescere dal 2011 al 2014. Veneto e Lombardia sono in ginocchio, è uno tsunami sulla classe media. C’è una speranza che viene dal 2016: le esecuzioni immobiliari sono scese. Ma una nuova legge sembra un nuovo regalo per banche e speculatori
Giuseppe ha 42 anni ed è un sopravvissuto. Sono passati dieci anni da quando, con un lavoro in tasca, ottenne un mutuo per comprare la sua casa a Palomonte, in provincia di Salerno. Tutto fila liscio fino a quando la crisi non raggiunge anche la sua azienda, il lavoro non c’è più e le rate arretrate del mutuo si accumulano. Si aggiunge anche il dramma di un grave handicap di un figlio, che rende impossibile anche arraggiarsi alla bell’e meglio. Ma questo non può interessare a una banca. Arriva la richiesta di pignoramento, poi cominciano le aste per la svendita della casa. Giuseppe è un sopravvissuto perché, nella spirale che porta decine di migliaia di famiglie ogni anno in Italia a ritrovarsi senza casa, ha trovato la Fondazione Antiusura e la Caritas. La prima fa da garante e può appoggiarsi a fondi regionali, la seconda tira fuori i soldi, che saranno restituiti con calma. Asta dopo asta, sei in totale, la cifra si abbassa e alla fine Giuseppe la riprende a 38mila euro, dei quali 13mila anticipati dalle due associazioni.
Storie a lieto fine come questa non sono però molte. L’Italia è un Paese di proprietari di case, l’80% delle famiglie ne ha una, ed è anche un Paese di pignoramenti e aste giudiziarie. A gennaio 2016 erano 28.672 gli immobili residenziali all’asta in Italia, come ha ricostruito un’indagine del centro studi della società Sogeea. Quasi sempre sono case di poco valore: nel 66% dei casi il prezzo d’asta è inferiore ai 100mila euro, se si conteggiano anche quelle fino a 200mila euro si arriva all’88 per cento. A essere travolto è stato soprattutto il Nord (57% dei casi), con alcune città letteralmente sotto schiaffo.
Una volta entrati nel vortice del pignoramento è impossibile uscirne. Subentrano le spese legali e quelle per la pubblicità degli annunci immobiliari. Poi ci sono le banche, che per non andare verso l’asta richiedono che il debitore si metta in regola in un’unica soluzione. A meno di accordi volontari
Padroncini in ginocchio
La provincia di Vicenza con i suoi 800mila abitanti ha 1.596 case all’asta, il triplo di quella di Milano, che conta più di tre milioni di residenti. Oltre quota mille ci sono anche Bergamo e Brescia. Storie di piccoli imprenditori o dipendenti che prima della crisi del 2007-2008 potevano fare affidamento su mutui molto generosi. Anche del 100 o addirittura del 120% del valore degli immobili, nonostante il testo unico bancario prevedesse che non si potesse salire oltre l’80 per cento: favori delle banche del territorio che prendevano per buone stime generose dei periti. Un altro mondo, prima del credit crunch e di una crisi che ha spazzato via, ancora prima del credito facile, milioni di posti di lavoro. Dal 2011 al 2014 è stata una corsa senza freni (+57%), come mostra anche un grafico della società Opicons. Lombardia, Veneto e Toscana sono state investite da uno tsunami, il Lazio ha visto peggiorare una situazione già drammatica, così come la Sicilia.
Le reti di assistenza in Italia per chi viene sfrattato di fatto non esistono. Dove c’erano sono state smantellate. «A Milano fino a 2-3 anni il Comune si attivava per trovare delle situazioni tampone, anche in alberghi, ora non c’è più niente del genere», spiega Leo Spinelli, segretario del Sicet-Cisl di Milano
Il secondo semestre 2015 sembra però mostrare un primo segnale di miglioramento. La quota di immobili messi all’asta è per la prima sceso, del 6,7 per cento (dati a gennaio 2016). Ma, spiega Sandro Simoncini, presidente di Sogeea, la ripresa economica pesa relativamente. «Oggi l’idea prevalente delle banche è di non mandare i crediti in sofferenza e di rinegoziare il mutuo, in genere allungandolo. Preferiscono non mandare le case all’asta perché hanno capito che il valore degli immobili così venduti è divenuto bassissimo», spiega. Se le aste negli anni sono aumentate, il numero delle vendite effettive è crollato: nel 2013 (ultimo dato disponibile della Direzione statisticha del ministero della Giustizia, piuttosto lenta negli aggiornamenti), a fronte di un aumento del 16% delle vendite giudiziarie di beni immobili, la discesa delle assegnazioni è stata del 42 per cento: solo 1.599.
Le aste deserte sono in media due, spesso tre. A ogni rinvio la casa perde tra il 15 e il 25% del valore. Alla fine il prezzo a cui sono vendute è in media di circa la metà (il 41% in meno a Milano) di quello di partenza, spesso fissato anni prima, con prezzi delle case molto più alti. Ma è la media del pollo. Per le case delle periferie il valore si abbassa. Così come hanno più probabilità di andare deserte le aste per case occupate da famiglie. Un deterrente di carattere umano, per altri privati che si fanno scrupoli, ma soprattutto economico, perché una casa occupata significa altri anni di attesa degli sfratti e immobili che non di rado vengono danneggiati da chi è forzato a lasciare la casa. Dal decreto ingiuntivo alla vendita e poi al decreto di trasferimento passano non meno di due-tre anni, spesso si arriva a sette, anche a dieci anni. A Milano, che non è tra i tribunali lumaca, poco meno di un terzo delle case andate all’asta nel 2014 proveniva da procedure precedenti al 2010.
Le aste deserte sono in media due, spesso tre. A ogni rinvio la casa perde tra il 15 e il 25% del valore. Alla fine il prezzo a cui sono vendute è in media di circa la metà di quello di partenza. A Milano poco meno di un terzo delle case andate all’asta nel 2014 proveniva da procedure precedenti al 2010
Senza rete
Chi resiste nelle proprie case, dopo il decreto di trasferimento (cioè una volta che l’immobile è venduto) ha molti motivi per farlo. Le reti di assistenza in Italia per chi viene sfrattato di fatto non esistono. Dove c’erano sono state smantellate. «A Milano fino a 2-3 anni il Comune si attivava per trovare delle situazioni tampone, anche in alberghi, ora non c’è più niente del genere», spiega Leo Spinelli della Sicet-Cisl di Milano. Gli sfratti sono aumentati: considerando tutti i casi, nel 2014 sono stati 14.500. Di questi, circa 600 riguardano persone che non hanno potuto pagare il proprio mutuo e hanno perso la propria casa. Il risultato? «Solo a Milano ci sono 240 famiglie in mezzo alla strada a causa di uno sfratto. Nelle case popolari non c’è spazio, ci sono 23mila persone in graduatoria».
Un dramma che coinvolge italiani e stranieri. Come la famiglia del signor Rukman, originario dello Sri Lanka, con tre figlie, di cui la maggiore ha sei anni. Nel 2008 – ricostruiscono dal Sicet – sottoscrive assieme a un conoscente un mutuo ipotecario per l’acquisto di un monolocale. Poco dopo il cointestatario del mutuo lascia Milano e le rate da 1.135 euro divengono insopportabili. A causa del mancato pagamento delle rate del mutuo la banca pignora l’alloggio. «Ora intende sfrattare la famiglia del signor Ruknam con l’ausilio della forza pubblica», spiegano dal sindacato degli inquilini.
È qui che si vede la mancanza di reti: Rukman non ha modo di accedere al mercato privato degli affitti dovendo anche mantenere la moglie e i tre figli. «Il Comune di Milano ha deciso di non prendere in esame le richieste di assegnazione in deroga presentate dalle famiglie sotto sfratto e quindi anche quella del signor Rukman, presentata nel luglio 2014», spiegano dal Sicet. «Lo scorso luglio – aggiungono – è stato eseguito lo sfratto e l’unica soluzione proposta dal Comune di Milano è stata una sistemazione in Comunità a Pavia per la sola madre con i minori, dividendo il nucleo familiare». È stata poi trovato in autonomia un monolocale, palesemente inadeguato, nel capoluogo lombardo. «A oggi il Comune di Milano non ha ancora contattato questa famiglia per offrire una soluzione abitativa», concludono dal Sicet.
Nel resto d’Italia non va meglio. Nel 2014 si sono contate 150mila richieste di sfratto, 36mila dei quali sono stati effettuati. In mezzo ci sono le tutele per validi motivi, ovvero la presenza di bambini o anziani invalidi nelle case. Ma, aggiunge, Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’Unione Inquilini, «semplicemente la forza pubblica non riesce a fare fronte alle richieste». La via maestra, se si riesce a evitare la strada, è quella della coabitazione. Dai genitori o con altri. Come ha mostrato il rapporto “Un difficile abitare” realizzato da Sicet e Caritas, nel periodo tra gli ultimi due censimenti sono quasi triplicate le famiglie che condividono un’abitazione, passate dalle 236mila del 2001 alle 696mila del 2011. In quest’emergenza, gli ex proprietari di case colpiti sono una parte ancora minoritaria. Le famiglie che nel 2014 non sono proprio riuscite a pagare il mutuo e sono finite nel vortice dei pignoramenti sono state 8-10mila, spiega il segretario generale della Sicet, Guido Piran.
La provincia di Vicenza ha 1.596 case all’asta, il triplo di quella di Milano. Oltre quota mille ci sono anche Bergamo e Brescia. Storie di piccoli imprenditori o dipendenti che prima della crisi del 2007-2008 potevano fare affidamento su mutui molto generosi, ben oltre il limite dell’80% del valore dell’immobile
Uscire in tempo dal vortice
Un vortice, spiega Piran, perché «una volta che ne sei dentro è impossibile uscirne». Subentrano le spese, quelle legali (periti inclusi) e quelle per la pubblicità degli annunci immobiliari, obbligatoria. Poi c‘è il fatto che le banche per evitare di andare avanti con il pignoramento richiedono che il debitore si metta in regola e torni in bonis in un’unica soluzione. «Per questo è difficilissimo venirne fuori», conferma Pietro Giordano, presidente nazionale dell’associazione di consumatori Adiconsum. «Ci sono alternative, che però dipendono dalla volontà della banca».
Negli ultimi anni, come si è detto, gli istituti di credito sono sempre più propensi a rinegoziare, anche per effetto di modifiche legislative recenti, come la legge 132/2015 (conversione del Dl 83/2015). Entrata in vigore lo scorso agosto, ha previsto per esempio che il debitore possa proporre ai creditori di rinegoziare il debito anche dopo aver ricevuto l’intimazione di pagamento con l’atto di precetto, un passaggio successivo al decreto ingiuntivo e precedente al vero e proprio pignoramento.
Non è l’unica misura che si può far partire. Dal 2009 al 2013 è stato attivo un accordo tra Abi e associazioni di consumatori che permetteva di sospendere le rate per 12 mesi; è stato utilizzato da 110mila famiglie. Un secondo strumento è il Fondo Gasparrini: previsto sulla carta dal 2007 maeffettivamente avviato nel 2013, si basa su fondi pubblici e permette di sospendere le rate per 18 mesi (ma tra i beneficiari sono esclusi i cassaintegrati). L’ultima misura, avviata nel marzo del 2015, permette una sospensione di 12 mesi, sarà attivabile fino a fine 2017 e, come comunicato dall’Abi, in un anno è stato utilizzato da circa mille famiglie. Dal maggio 2013, aggiunge l’associazione bancaria, sono oltre 26mila le persone che hanno avuto accesso al Fondo Gasparrini. Ci sono poi il Fondo prevenzione usura, il fondo di garanzia per l’acquisto della prima casae la Legge 3/2012, che ha previsto degli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Dal 2013 non è poi possibile il pignoramento della prima casa da parte di Equitalia. I mezzi quindi ci sono, ma bisogna attivarli per tempo. «Il vero problema è che c’è scarsa informazione». Quando i clienti arrivano, aggiunge l’avvocato Antonio Santarsiere, del foro di Salerno, «sono in situazioni già compromesse». Il rapporto “Un difficile abitare” della Sicet-Caritas mostra come le misure siano relativamente poco utilizzate.
A gennaio 2016 erano 28.672 gli immobili residenziali all’asta in Italia. Quasi sempre sono case di poco valore: nel 66% dei casi il prezzo d’asta è inferiore ai 100mila euro. A essere colpito è stato soprattutto il Centro-Nord
Aste, i passi avanti sulla trasparenza
Se si arriva alle aste, che situazione si trova? A sentire gli interessati, al netto dell’emotività che è inevitabile quando ci sono di mezzo le famiglie, qualcosa di molto diverso rispetto a una decina di anni fa. «Erano un inferno, oggi le regole sono diverse e migliori», dice Giordano di Adiconsum. Le perizie estimative, spiega, «oggi si fanno sulla base di procedure europee, con tanto di enti di certificazione. Prima c’era un perito di parte delle banche, nel migliore dei casi c’era il sospetto che valutasse a tutto loro vantaggio». Anche i faccendieri, se non sono spariti, «sono meno, perché prima di comprare bisogna sottoporsi a mille pratiche, tra cui quelle antiriciclaggio e antimafia».
Mentre si registrano ancora i casi degli stessi debitori che fanno i furbi. «Sono una minoranza ma abbiamo assistito a molti casi di persone che in modo quasi scientifico decidono di non pagare le rate del mutuo – dice il notaio Carmelo Di Marco, presidente di Federnotai -. Questo permette loro di non pagare per anni, fino a quando la casa va all’asta. A quel punto, una volta che il prezzo base si è abbassato di molto, ricomprano le case tramite prestanomi». Il gioco, ovviamente, riesce meglio se la famiglia è in grado di intimidire o scoraggiare gli eventuali acquirenti. Non è il caso del signor Giuseppe di Salerno, citato inizialmente. In quel caso, spiega l’avvocato Santarsiere, la strada fu quella di informare in modo informale il custode giudiziario che c’era una famiglia in difficoltà all’interno dell’abitazione. «Questo è bastato a scoraggiare eventuali altri interessati. Non per una questione di bontà d’animo, ma perché in questi casi si sa che una famiglia che non vuole perdere la casa è disposta a fare dei rilanci sul prezzo».
Per aumentare la trasparenza delle aste ha aiutato internet. E, sulla mancanza di raid da parte di grossi operatori immobiliari, ci si è messa in mezzo la crisi immobiliare. Capita così che, rispetto al passato, comprino più privati che grandi fondi, in particolare se si parla di case dal prezzo ridotto.
«Le aste erano un inferno, oggi le regole sono diverse e migliori. Merito di procedure di perizia europee, dei certificati anti-riciclaggio e soprattutto di Internet»
Nelle mani delle banche?
Ora però la situazione potrebbe cambiare. È stato il governo a sparigliare le carte. Prima dell’atto di governo numero 256, che introduce la possibilità per le banche di pignorare le banche senza passare dal giudice dopo 18 rate (prima erano sette), c’è stata un’altra norma: il “decreto banche” dello scorso 10 febbraio che ha limitato l’imposta di registro in caso di acquisto di immobili all’asta. Era pari al 9% del transato, ora è un fisso di 200 euro, a patto che si rivenda l’immobile entro due anni. Per una casa del valore di 500mila euro, è un risparmio di 45mila euro; solo per chi rivende, se vogliamo per chi ci specula. Questo porterà a un acquisto in massa di case da parte delle banche, che nel frattempo stanno creando proprie agenzie immobiliari? Giordano si mostra dubbioso: «Le banche sono piene di case in pancia, non hanno interesse ad averne ancora». Potrebbero però entrare i fondi immobiliari, che hanno meno problemi di sofferenze? «Potrebbe anche essere così, ma se facessero cartolarizzazioni come i fondi immobiliari statunitensi alla fine degli altri Duemila, questo vorrebbe dire che ci ritroveremmo con un’altra possibile crisi dei subprime». Fu proprio dall’insolvenza di chi aveva comprato casa, tra la California e la Florida, che partì la Grande Crisi da cui ancora oggi stentiamo a uscire.