TaccolaAggregarsi o finire agli stranieri: il design prenda lezioni dalla moda

Ci sono analogie tra la moda italiana di 15 anni fa, poi finita in larga parte in mani francesi, e il design di oggi? Ne è convinto Fabio Sattin, co-fondatore di Italian Design Brands. Un gruppo che ha appena acquisito la Meridiani srl e non ha intenzione di fermarsi

La giostra del Salone del Mobile gira a tutta velocità, riempiendo Milano di entusiasmo e caroselli. Fuori dal Salone le mostre, le installazioni e i party. Dentro la soddisfazione per la qualità e la quantità dei contatti dei primi tre giorni dell’esposizione e per i numeri positivi del 2015 nell’export (+6%) ma finalmente anche nel mercato interno (+1%). Tra gli annunci a decine di questi giorni, uno però non va sottovalutato, per il suo significato profondo: l’acquisizione di un’azienda familiare nota per l’alta qualità del suo design, la Meridiani srl di Misinto (Mb), da parte del gruppo Idb, Italian Design Brands. È la seconda operazione di un gruppo che finora, dal momento della sua costituzione, 10 mesi fa, era composto da una sola azienda, la Gervasoni spa, della provincia di Udine, dove opera dal 1882.

I soci promotori di Idb sono la Pep (Private Equity Partners, guidata da Fabio Sattin e Giovanni Campolo), Paolo Colonna e i fratelli Gervasoni (Giovanni e Michele). Proprio Fabio Sattin, dal suo studio di via degli Omenoni, a pochi passi da piazza della Scala, Milano, decide di scendere dalla giostra del Salone e di lanciare un invito alla lucidità. «L’esigenza di aggregazioni è paurosamente necessaria – spiega -. L’arredamento italiano oggi è nella stessa situazione della moda di 15 anni fa. E, come la moda, rischia di finire nelle mani di gruppi stranieri. Oggi è il momento dei giochi e tocca a noi capire se vogliamo che i protagonisti siano italiani o stranieri».

«L’esigenza di aggregazioni è paurosamente necessaria. L’arredamento italiano oggi è nella stessa situazione della moda di 15 anni fa. E, come la moda, rischia di finire nelle mani di gruppi stranieri. Oggi è il momento dei giochi e tocca a noi capire se vogliamo che i protagonisti siano italiani o stranieri»


Fabio Sattin, Italian Design Brands

Per descrivere come stava la moda 15 anni fa, l’esempio citato è quello del gruppo Valentino: fatto 100 il fatturato del gruppo, le vendite del marchio Valentino non valevano più del 10%, racconta, mentre l’80% era composto dalle vendite di Hugo Boss e il resto da Marlboro Classics (ora Mcs). Che significa? Che le case di moda italiane, pur con tutto il loro blasone internazionale, erano piccole società. Come siano finite è sotto l’occhio di tutti, con le acquisizioni da parte di gruppi stranieri, in prevalenza francesi, che hanno lasciato solo piccole isole di “italianità”. Non fece eccezione Valentino Fashion Group. Il gruppo passò dalla famiglia Marzotto a una società mista tra il fondo Permira e la famiglia Marzotto e successivamente fu spacchettato, con la Valentino spa che andò a un fondo del Qatar.

«Oggi il design è in una posizione simile. Se si esclude un gruppo come Natuzzi, lo scenario è composto da una marea di società incredibilmente piccole, con immagini sproporzionate». Nomi di fascia altissima, come Ceccotti, ad esempio, hanno un fatturato che si aggira sui 10 milioni di euro. È ancora da considerare un problema, questo, nell’era della flessibilità e delle nicchie raggiungibili ovunque nel mondo grazie alla Rete? Sattin ne è convinto: «La realtà si scontra con il concetto di “piccolo è bello”. Le piccole dimensioni non permettono di assumere un management di alto livello e di gestire adeguatamente la rete distributiva e il sistema del contract sui mercati internazionali». Perché allora non si sono viste finora troppe aggregazioni? «Per una questione prevalentemente culturale, per la volontà da parte delle famiglie proprietarie di non perdere il controllo. Ma, diciamolo, nel passato a impedire le aggregazioni è stato il tanto “nero” che girava. Ora questo aspetto si è affievolito, soprattutto grazie alla crescita delle esportazioni».

«Nel passato a impedire le aggregazioni è stato il tanto “nero” che girava. Ora questo aspetto si è affievolito, soprattutto grazie alla crescita delle esportazioni»

Sattin non è un personaggio semplice da descrivere. È noto soprattutto per essere un alfiere del private equity in Italia, con la sua Private Equity Partners, di cui è presidente. Ma è anche professore a contratto senior di Private Equity e Venture Capital alla Bocconi, ha fatto parte del Comitato di consultazione della Borsa Italiana e del gruppo di esperti su “Private Equity e Venture Capital” della Commissione Europea. Quando parla di finanza, insomma, sa quel che dice. E sa che le acquisizioni da parte di fondi di private equity, così concentrate su alti ritorni in tempi brevi, seguiti da uscite dall’azionariato, non potevano essere la soluzione per le acquisizioni effettuate. «La mia onestà intellettuale mi impone di dirlo: le tempistiche del private equity mal si sposavano con l’operazione di Italian Design Brands, così come spesso non vanno bene per aziende di piccole dimensioni». Per questo, aggiunge, «io e gli altri finanziatori abbiamo deciso di non utilizzare lo strumento del fondo, né di prendere soldi da altri fondi, ma di mettere soldi nostri: è un modo per dire agli imprenditori a cui proponiamo le acquisizioni: “rischiamo proprio come voi”. Non è un caso che, prima della nostra, la Gervasoni avesse ricevuto altre tre offerte di fondi, tutte rifiutate anche se più alte». Tra i 13 investitori privati ci sono Gaetano, Paolo e Stefano Marzotto, Carlo Micheli e l’ad di Autogrill Gianmario Tondato da Ruos.

«La mia onestà intellettuale mi impone di dirlo: le tempistiche del private equity mal si sposavano con l’operazione di Italian Design Brands»


Sattin

Se gli imprenditori hanno ragione a diffidare dei fondi, perché non dovrebbero farlo di un gruppo come Idb? «Perché è qualcosa che rimarrà – risponde Sattin -. Perché il cuore del gruppo rimarrà italiano. Perché rimane un grande ruolo dell’imprenditore e il rispetto per la sua individualità: oltre ad avere un posto nel cda di Idb, ciascun imprenditore delle società acquisite continua ad avere una grande autonomia di azione. E, soprattutto, perché appena gli imprenditori si mettono assieme, capiscono subito che il valore aggiunto che si genera è immenso». In che senso? «Solo un esempio: Renato Crosti, fondatore di Meridiani Srl, ha una grande specializzazione negli imbottiti; Gervasoni viaggia in continuazione per il mondo. Appena hanno cominciato a parlare si sono aperte mille strade».

L’obietto di Idb è di realizzare un’acquisizione all’anno. Attualmente il fatturato complessivo è di circa 41 milioni: si ottiene sommando i 24 milioni di ricavi nel 2015 di Gervasoni (+8%) e i 17 milioni di Meridiani (in salita di 2 milioni rispetto al 2014). Entro cinque anni l’obiettivo è di arrivare a 100 milioni di euro. A quel punto si aprirà la prospettiva della Borsa. «Il precedente è quello di Natuzzi, che si quotò a Wall Street nel lontano 1998 – dice Sattin -. A quel tempo realizzava il 98% delle vendite negli Stati Uniti. Fu grazie a quella quotazione che poté sviluppare la linea di Divani & Divani. E, nonostante le vicissitudini degli ultimi anni, fu grazie a quel passo che è potuta diventare grande».

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