Chi vince e chi perde con il petrolio a 40 dollari

Le economie produttrici si trovano in difficoltà. Chi importa, invece, se la ride. Ma se questa situazione andrà avanti a lungo, il rischio di crisi per alcuni Paesi c’è

Nel grande gioco globale dei prezzi del petrolio c’è, come è ovvio, chi ne trae beneficio e chi, invece, ne viene danneggiato. Da quando, nel 2014, i Paesi dell’Opec hanno deciso di mantenere alta la produzione, nonostante il calo della domanda, il prezzo ha cominciato a scendere in modo vertiginoso, aggirandosi intorno ai 40 dollari al barile. Il picco di 100 dollari a barile è un ricordo lontanissimo.

A questo si aggiunge anche la sovrapproduzione iraniana, favorita anche dalla fine delle sanzioni e dalla nuova apertura. Nel mercato c’è sempre più petrolio ma sempre meno compratori. E gli equilibri stanno cambiando. Come mostra questa mappa del centro di ricerca della Deutsche Bank riportata da Business Insider, le varie economie del mondo hanno reagito in modo diverso. Alcune si sono fatte trovare impreparate. Altre resistono bene.

In linea di massima, sono i Paesi produttori che hanno la peggio: Arabia Saudita,Venezuela e Nigeria. Al contrario, India, Cina e Stati Uniti riescono perfino a beneficiarne, in quanto importatori netti. Se le cose continueranno in questo modo, ci saranno complicazioni ulteriori. Per mettere a posto il bilancio nigeriano ci vorrebbe un prezzo al barile di 85 dollari, e siamo alla metà. Per quello del Kuwait, invece, bastano 47 dollari. A questi prezzi, insomma, quest’ultimo può resistere ancora a lungo, servendosi dei suoi asset di Stato: circa 122 anni (un periodo sufficiente per trovare una nuova fonte di energia). La Nigeria, invece, non resisterebbe nemmeno un mese.