Stando alle fonti, conosciute a pochissime persone, gli ultimi giorni di Maometto non furono dei migliori. Lo racconta in un libro dettagliato (e in un’intervista a Le Monde) Hela Ouardi, professoressa all’Istituto superiore di Scienze Umane dell’università Tunis El Manar e associata del Laboratorio di Studi sul monoteismo del Cnrs
Dopo aver preso in esame tutte le fonti disponibili, cioè “il Corano in primo luogo, e le sue varie interpretazioni, sia sciite che sunnite. Poi gli Hadith del Profeta, le biografie scritte su di lui e sui suoi successori, e le cronache storiche”. Risultato: un guazzabuglio pieno di contraddizioni, da cui però sembra essere emerso un filo logico (e soprattutto storico) che permette di ricostruire un quadro piuttosto complesso.
“Il punto essenziale è considerare il Profeta un uomo come gli altri”, cosa che “viene ripetuta in modo esplicito dal Corano stesso, nelle sure 18 e 41”. La tradizione successiva lo ha de-umanizzato, quasi disincarnato. Invece “la sua storia ha i tratti estetici sublimi della tragedia greca”, perché pone l’uomo in una situazione di difficoltà senza rimedio. Come recitano le testimonianze, negli ultimi giorni della sua esistenza avrebbe ripetuto più volte di sentirsi addolorato, di sentirsi afflitto.
Da un lato, a causa “del dolore fisico per la sua malattia, che gli fu fatale”. Dall’altro – e questo lo suggerisce la lettura della Tradizione – per la difficoltà di una situazione politica disordinata. A differenza dell’agiografia, “le ultime battaglie contro i bizantini si risolsero in sonore sconfitte”. Non mancarono tentativi di assassinarlo e l’emergere di “falsi profeti che cercavano di sollevare contro di lui le varie tribù”. Come se non bastasse, nel suo inner-circle montava la lotta per la sua successione.
I due pretendenti, cioè i futuri califfi Omar e Abu Bakr, non risparmiarono colpi. Il primo addirittura cercò di impedire al Profeta di dettare il suo testamento, gridando che “l’inviato di Dio sta delirando”. Insieme a loro, agivano le rispettive figlie Aischa e Hafsa, entrambe spose di Maometto, che avevano creato una ragnatela fitta attorno al Profeta. Obiettivo? Impedire che nessuno potesse avvicinarsi a lui e influenzarne le volontà, magari sfilando loro il potere. Un “cerchio magico” raccontato molto bene dalle fonti sunnite, che sono anche quelle più favorevoli ai due califfi. Per cui “la tanto decantata età dell’oro, per come la raccontano i salafiti”, non è mai esistita. E questo è un punto.
La morte del Profeta, poi, era fonte di timore per molti dei suoi seguaci. Secondo le sue predicazioni “la fine del mondo era vicina”, e sarebbe sopraggiunta poco tempo dopo la sua morte. Naturale cominciare a inquietarsi. Del resto, l’Islam delle origini, come spiega la professoressa, era un movimento escatologico. Il giorno del giudizio era prossimo venturo. E allora, come si concilia questa convinzione con l’idea di creare uno stato islamico, il Califfato, destinato ad allargare i confini della fede? Che senso avrebbe istituire un organismo statale se la fine del mondo è imminente? “È il prezzo della continuità voluta dai califfi. La fine del mondo, come si è potuto constatare, non è avvenuta. Perché i fedeli non perdessero fiducia negli insegnamenti del profeta, era necessario un cambio di rotta deciso”. L’Islam doveva reinventarsi, anzi: secondo la professoressa, inventarsi.
Per Hela Ouardi, insomma, si profila uno sviluppo storico simile a quello del Cristianesimo: non sarebbe nato con Gesù Cristo, ma con San Paolo e le sue predicazioni. E anche in questo caso, la dottrina originaria avrebbe avuto una profonda componente escatologica che sarebbe stata modificata dopo che, passati alcuni anni, la fine del mondo non accennava a farsi vedere.