Un tweet non si ferma alle informazioni contenute nei 140 caratteri. C’è molto di più, a partire dalla geolocalizzazione. Un oggetto fisico connesso alla rete, come un computer o un telefono cellulare, rivela automaticamente la sua posizione geografica e le coordinate da cui parte il segnale. È bastato questo dato ai due fotografi statunitensi Nate Larson e Marni Shindelman per creare il progetto Geolocation: una raccolta di foto scattate nei luoghi da cui il tweet veniva inviato. La prima immagine, una strada vuota, è del 2009 e il tweet era quello di una persona che aveva perso il lavoro nei sobborgi di Chicago. Un accoppiata così potente che i due artisti decisero di continuare il loro esperimento per tutto il Paese (e ora puntano a trasferirsi a San Pietroburgo).
L’obiettivo? Combattere il senso di disconnessione dalla realtà nell’era digitale. Su Twitter si condividono circa 500 milioni di post al giorno in tutto il mondo creando un newsfeed di notizie che spesso passano inosservate. «I nostri scatti ancorano e memorizzano l’effimero dato online nel mondo reale», si legge sul sito di Larson e Shindelman. In sostanza, «selezioniamo i messaggi che rivelano qualcosa delle persone che lo postano e cerchiamo di analizzare l’influenza fra lo spazio fisico e quello digitale attraverso una foto». I viaggi a vuoto certo non mancano, come hanno rivelato i due fotografi in una recente intervista. Chilometri e chilometri solo per finire in un parcheggio o davanti una stazione di servizio. Ma quando vanno a buon fine, il risultato è garantito.