“Mano di gomma”, al secolo Francesco Grande Aracri, detto Nicolino, arriva a Brescello ventisette anni dopo le avventure di Peppone e don Camillo. Da don Camillo a don Nicolino, ironizza qualcuno in città, il passo è stato più breve del previsto e si concretizza nel 1982, quando il boss della cosca Grande Aracri arriva in provincia di Reggio Emilia in soggiorno obbligato. A Ponteratto, come veniva chiamata la cittadina di Peppone e don Camillo nei libri, e nella provincia di Reggio Emilia, il legame con Cutro è forte da quegli anni.
C’è chi ancora si stupisce della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, anche dopo lo scioglimento del primo comune per infiltrazioni della criminalità organizzata, cioè Brescello. Qui, secondo la commissione d’accesso che ha valutato gli atti dell’amministrazione comunale e dei suoi uffici tecnici, l’operato del governo cittadino sarebbe stato condizionato dai voleri delle cosche, e al centro delle contestazioni non a caso ci finisce pure un quartiere dal nome evocativo costruito con una variante al piano urbanistico che i commissari non hanno ritenuto limpidissima: Cutrello.
Perché i cutresi qui sono una sorta di colonia e quelli onesti, al solito, fanno i conti con quelli che lo sono di meno, per quanto parroci e sindaci si siano sempre affannati nel sottolineare che “mano di gomma” fosse «un bravo cristiano che fa le elemosine e viene a messa» eppure un «uomo gentile e onesto lavoratore». Così in molti hanno negato per anni, compresa la dinastia Coffrini che prima con Ermes (Pci) e poi il figlio Marcello (Pd, prima assessore all’Urbanistica e poi a sua volta primo cittadino, hanno governato la città per trent’anni.
Nel frattempo un omicidio riconducibile alle cosche della ‘ndrangheta nel 1992, quello di Giuseppe Ruggiero, la protesta nel 2002 del gestore del bar di don Camillo il quale pressato da richieste di estorsione mise un cartello sulla saracinesca abbassata: “chiuso per mafia”. «Fango gratuito sul paese. Denuncerò il negoziante e lo faccio chiudere», disse Coffrini senior nel corso di una intervista pubblicata dalla Gazzetta di Reggio.
Un ventennio, quello trascorso tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni 2000, in cui le mafie sono arrivate e si sono adagiate sul Po con la complicità della politica locale. Lo hanno fatto in tutto il nord Italia e l’Emilia Romagna ne è uno degli esempi più lampanti, nonostante il primo scioglimento di un comune arrivi solo oggi, anno di grazia 2016. Marcello Coffrini, in attesa di scoprire i contenuti della relazione prefettizia, al momento secretata, si difende: «non ho nessuna responsabilità di tipo penale».
Quella ‘ndrangheta però in Emilia e sulle rive del Po arriva e fa affari: tra i cavatori, con il movimento terra, con l’impresa legale insomma, senza disdegnare però i vecchi traffici di stupefacenti e armi come confermò una indagine del 2000 che inquadrò un traffico di armi tra la Germania, Cutro e Reggio Emilia. Proprio Cutro e Reggio Emilia legano due regioni distanti geograficamente come l’Emilia Romagna e la Calabria, ma più vicine nei rapporti criminali, e anche politici.
Un ventennio, quello trascorso tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni 2000, in cui le mafie sono arrivate e si sono adagiate sul Po con la complicità della politica locale
L’operazione Aemilia del gennaio 2015 è stata una conferma in più di quanto altre indagini, associazioni e organi di stampa andavano denunciando da anni. La direzione nazionale antimafia nel 2014 scriveva nel suo rapporto annuale che «può sembrare singolare, ma è come se si verificasse un fenomeno per il quale siano le regole del crimine organizzato a dettare il senso della circolazione autostradale, sì da fare in modo che la ‘ndrangheta emiliana, giunta verso Nord a Piacenza percorrendo la A1, devii poi sulla destra imboccando la A21 verso Brescia e, quindi, di nuovo a destra grazie alla A4 che la conduce nel cuore del Veneto. Come se la prosecuzione lungo la A1 le fosse interdetta, per come di fatto lo è, da un’altra presenza criminale che non la consente».
Un insediamento che si è radicato lì dove a farla da padrone c’erano l’agricoltura e gli allevamenti. L’impresa mafiosa ha trovato spazio e firme degli uffici tecnici per costruire e fare edilizia.
Lavori e mappature su cosa stava diventando la ‘ndrangheta in Emilia lo hanno raccontato oltre alle inchieste giudiziarie i giornali, studenti e associazioni. Non per tutti era normale l’ascesa di un certo modo di fare impresa e fare affari. Dai dossier degli studenti delle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza dell’università di Bologna coordinati dal volenteroso Gaetano Alessi, alla video inchiesta dell’associazione Cortocircuito che ha interrogato direttamente Coffrini sui rapporti con Grande Aracri.
Brescello non è certo l’ombelico del mondo, perché non molto distante c’è Reggio Emilia, altro comune emiliano con una presenza importante di cutresi. E i voti dei cutresi sono importanti, tanto che le due città, Cutro e Reggio Emilia sono gemellate e una processione del Santissimo crocifisso nel pieno della campagna elettorale non può mancare. Tanto che ci va pure Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio, oggi ministro per le Infrastrutture. Più discreto fu Giuseppe Pagliani che l’inchiesta Aemilia pizzicò seduto attorno a un tavolo con Nicolò Sarcone che le indagini individuano come «referente della cosca (Grande Aracri, ndr) a Reggio Emilia e comuni limitrofi».
In tanti hanno fatto finta di non sapere e le operazioni di rimozione si sono susseguite negli anni, anche per via mediatica. Eppure un report dello studioso Enzo Ciconte del 2008, pubblicato proprio sul sito del comune nel periodo in cui Delrio è stato primo cittadino, avrebbe dovuto dare qualche indicazione ed evitare qualche «non sapevo» di troppo messo a verbale dagli amministratori che hanno preso parte alle vicende di questi anni.