Le riforme degli Emirati Arabi: un ministero per la Felicità

A cui seguirà anche un ministero per la Tolleranza. Perché, nonostante le palesi violazioni dei diritti civili, essere felici è una questione di Stato

Un ministro per la Felicità. E già che ci siamo, uno per la Tolleranza. Potrebbe sembrare uno dei progetti di Matteo Renzi, ma non lo è. Succede negli Emirati Arabi Uniti (Dubai, Abu Dhabi e altri meno conosciuti). Ma la decisione ha più il sapore dello slogan che della svolta storica.

Perché? Prima di tutto, l’idea è venuta allo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, nel quadro di un riassestamento del governo. L’obiettivo è ambizioso: creare una policy per la soddisfazione sociale e promuovere la tolleranza come valore fondamentale. “È l’inizio di un nuovo viaggio e un dono per il popolo”, ha scritto in un post in arabo.

Poi perché gli Emirati Arabi, che pure si vantano di molte cose (l’edificio più alto al mondo, ad esempio) e che, al momento, è uno dei catalizzatori per giovani lavoratori di talento nell’area (con ottime prospettive di guadagno – meno di godersi il clima) hanno qualche problema con i diritti civili, vecchia questione che solo qualche barboso occidentale continua a ricordare. Gran parte dei lavoratori immigrati sono sottopagati, ad esempio. L’omosessualità è proibita. Non ci si può baciare in pubblico. La tortura è praticata e incoraggiata, in particolare contro un centinaio di dissidenti che cercavano riforme. Le critiche al governo? Non sono permesse.

Certo, non è detto che la felicità, per essere goduta, debba per forza passare per il godimento dei diritti civili. Però è probabile che averne un po’ aiuti – di sicuro, per l’altro ministero, quello della Tolleranza, una minima revisione delle leggi sull’omosessualità forse è opportuna. Poi, si faccia come vogliono, perché al contrario di quanto diceva Tolstoj, ognuno è felice a modo suo.

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