L’artista Chiara Rapaccini – in arte RAP – e il fotografo Andrea Vierucci si son conosciuti sul set di un servizio fotografico per la rivista Ville Giardini. Da questo in contro fortuito sono nati un’amicizia e un sodalizio artistico, sfociato proprio in questi giorni nell’inaugurazione della mostra Mario, presentata alla Gamc di Viareggio in occasione del Lucca Film Festival.
Il Mario in questione, naturalmente, altri non è che Mario Monicelli, grande maestro del cinema italiano e compagno di vita di Chiara Rapaccini. La mostra ha come obiettivo raccontare il grande cinema attraverso un discorso di sinergia tra le arti. E alla base di tutto, naturalmente, c’è il fotogramma. Perché lo spunto di partenza è costituito da una serie di splendide fotografie di scena – opere di fotografi del calibro di Secchiaroli, Strizzi e Doisneau – che Chiara ha letteralmente recuperato dalla spazzatura: «perché Mario, si sa, Buttava tutto», bollando queste e altre testimonianze del suo lavoro come «documenti del passato di nessun valore».
«Dopo la sua morte – racconta Chiara – ho iniziato a realizzare delle mostre in giro per il mondo, stampando queste foto su grandi lenzuola e poi lavorando con l’acrilico, aggiungendo fumetti con miei personaggi e dialoghi, anche tra me e lui, che a volte sono dei veri e propri litigi, ma sempre con una grandissima ironia alla base».
D’altra parte Rapaccini è un’artista satirica e Monicelli è stato il re della commedia all’italiana, erede di quella tradizione boccaccesca che fa della farsa e del gusto della beffa la materia ideale per raccontare la realtà.
Recuperate, catalogate, archiviate e rielaborate con colori e ricami, le foto sul set diventano le protagoniste di un discorso artistico giocato tutto allo specchio, in una vera e propria operazione di mise en abyme: «Si parte dal cinema, – spiega Chiara – dal fotogramma e dalla foto di scena, per poi passare alla pittura, con le mie rielaborazioni delle stesse».
le foto sul set diventano le protagoniste di un discorso artistico giocato tutto allo specchio, in una vera e propria operazione di mise en abyme
A questo punto entra in gioco il fotografo Vierucci, che immortala i lenzuoli di Chiara in un’ideale cornice di archeologia industriale: appesi cioè come fantasmi fluttuanti che “infestano” una fabbrica abbandonata della Maremma, un vero luogo di fantasmi, a tratti addirittura pericolante, che secondo Chiara Mario avrebbe molto amato, perché lui «adorava il territorio maremmano».
Questa installazione evocativa – i lenzuoli fluttuanti nella fabbrica abbandonata – è a sua volta raccontata anche con il linguaggio cinematografico, attraverso un video girato e montato da Anna Maria Eustachi: «Ed ecco che si ritorna al cinema», commenta Chiara. Chiara Rapaccini con il cinema ci ha letteralmente vissuto, perché ha vissuto con Mario Monicelli. Da un lato considera questa mostra una sua personale sfida: affrontare in modo attivo la materia cinematografica, con cui in gioventù aveva avuto a che fare, sì, ma sempre con il distacco di chi si occupa di un altro tipo di arte.In secondo luogo questi lavori rappresentano per lei una sorta di trait d’union tra quelle che chiama le sue due vite: «Io a 20 anni ho conosciuto tutto il cinema: da Gassman a Mastroianni, e non sapevo, allora, che sarebbero morti: non ci avevo pensato.
Questo ha creato in me una visione della vita schizofrenica, basata sul prima e sul dopo, e questa mostra è un po’ l’anello che unisce le due vite».
Secondo lei, ciò che rendeva grande il cinema di quegli anni era la forte adesione alla realtà, una realtà spesso cruda e densa di impegno civile, che il cinema italiano è tornato di recente a riscoprire, con film come Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, Non essere cattivo di Caligari e Perfetti sconosciuti di Genovese. «Finalmente – commenta Chiara – si sta abbandonando quella parentesi di intimismo estremo che escludeva una realtà italiana – e soprattutto romana – estremamente densa di spunti, a volte orrendi (penso ad esempio a mafia capitale) che però costituiscono una materia narrativa eccezionale, una fonte continua a cui abbeverarsi».Non dobbiamo dimenticare che Mario definiva il cinema “arte minore”
Un altro aspetto fondamentale che rendeva grande il cinema di Monicelli e compagni era il lavoro di squadra: «registi come Rosi, Rossellini e lo stesso Monicelli erano certamente bravi ma avevano alle spalle sceneggiatori straordinari, come Martelli, Benvenuti, De Bernardi e Cecchi D’Amico. Quella era una generazione di artigiani: lavoravano sempre in team, leggevano, si interessavano di cronaca, di politica, avevano un pensiero politico molto forte, naturalmente a sinistra – la sinistra nel senso migliore –, sempre dalla parte dei perdenti, perché Mario faceva Brancaleone sempre. Erano bravi e attenti, per nulla autoreferenziali. Anche perché erano molto umili: non dobbiamo dimenticare che Mario definiva il cinema “arte minore”».
L’aspetto dell’impegno civile e politico, molto caro a Monicelli, è molto importante anche per Chiara, convinta detrattrice del concetto di “arte per l’arte”. In particolare questa mostra, non solo racconta la sua storia d’amore personale con Mario, ma anche l’amore e il legame del regista con la città di Viareggio, che non a caso ha deciso in questi giorni di dedicargli una piazza.
«Mario è stato presente durante ogni grande avvenimento di Viareggio, compresa la strage dei 43 morti alla stazione. Morti bruciati». Ed è proprio a loro che la mostra è dedicata, «al comitato delle vittime, che sta combattendo per avere giustizia ed è molto maltrattato». E questo perché, secondo Chiara, il pensiero politico e civile di Mario era forte quanto la sua identità di artista.La mostra sarà dunque articolata come un percorso che si snoda tra lenzuola fantasmiche, illuminate pochissimo, con sopra le effigi di Gassman, Monicelli, Totò e la Magnani… La luce flebile è importante, come è importante che il sopporto materico sia un tessuto fluttuante, perché – spiega Chiara – «si deve sapere che sono dei morti, ma dei morti che ridono! Si può giocare con i morti, si può sorridere con i morti, ed è così che li si mantiene in vita davvero, non come dei santini, ma come presenze che entrano nella vita sociale e politica di Viareggio, nella realtà della strage del 2009».
Ridere con i morti, farli partecipare al proprio impegno civile: tutto è perfettamente in sintonia con quel senso carnevalesco del mondo di cui Mario si è sempre fatto portatore. «Ed è proprio questo – spiega Chiara – il pensiero che ho imparato da mio marito, Monicelli».MARIO
Chiara Rapaccini e Andrea Vierucci per Monicelli
Viareggio, GAMC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Lorenzo Viani
Tel. 0584 581118
2 aprile/16 maggio 2016
da martedì a domenica, ore 15.30-19.30
Ingresso libero alla mostra con il biglietto della galleria (intero 8 euro, ridotto 4 euro)