Piccolo è meglio: una nuova speranza per il nucleare

Gli Small Modular Reactors (SMR) hanno dato nuova vita alla ricerca e sviluppo nella tecnologia nucleare, negli ultimi anni. Saranno loro la chiave per un futuro senza petrolio?

L’energia nucleare ha ormai superato i settant’anni di vita, ma da diverso tempo sta attraversando una fase di crisi, specialmente nei Paesi che ne hanno a lungo guidato lo sviluppo. Oggi in Europa ci sono solo due nuovi reattori in costruzione, Olkiluoto-3 e Flammanville-3. Sono entrambi EPR (European Pressurized Reactor), un nuovo design di impianto di terza generazione, che ha mostrato però ritardi nella costruzione dovuti a problemi tecnici: i costi sono schizzati verso l’alto e la data dell’entrata in funzione è stata rimandata di anni.

Nello stesso tempo, il mondo dell’energia è sembrato andare in una direzione molto diversa rispetto alle caratteristiche classiche degli impianti nucleari. Le rinnovabili sono emerse come energia del futuro: la vera risposta al problema di come ridurre la dipendenza dai combustibili fossili per la produzione di elettricità. L’incidente di Fukushima, poi, è stato un altro duro colpo. Diversi Paesi hanno ripensato le loro strategie nucleari e la stessa Italia, che nel 2011 è stata a un passo dal ritorno all’atomo, ha fatto una marcia indietro che gli stessi addetti ai lavori vedono ormai come definitiva.

Una nuova speranza?

Ma la ricerca e l’interesse industriale intorno al nucleare non si sono spenti. Un nuovo tipo di reattore sta ricevendo molta attenzione anche nella vecchia Europa e da alcuni è già stato salutato come la possibile “chiave per un futuro a basso contenuto di carbonio”.

Si tratta degli Small Modular Reactors (SMR), reattori che uniscono dimensioni ridotte rispetto ai vecchi impianti – e una potenza elettrica più piccola – a modalità di costruzione modulari. E proprio questo secondo aspetto è quello più innovativo, conferma Marco Ricotti, professore ordinario di Impianti nucleari presso il Politecnico di Milano.

«La novità vera, il salto di qualità – dice Ricotti – lo si fa con la modularità: avendo un reattore più piccolo posso pensare a nuove soluzioni tecnologiche. I componenti sono più piccoli e posso realizzare gran parte del reattore in officina. I pezzi, poi, vengono portati sul sito di costruzione e, come un Lego, vengono messi assieme. Questo aumenterebbe la qualità, perché si costruisce in un ambiente più controllato, e rende possibile anche costruire i reattori in serie».

Dimensioni e potenza ridotte – la World Nuclear Association definisce gli SMR come i reattori con una potenza elettrica inferiore ai 300 MW, un quinto di quella prevista a Flammanville – danno vantaggi anche sul fronte degli spazi richiesti agli impianti, dell’impatto sul territorio e sul fronte della sicurezza. «Il raffreddamento che devo garantire è più semplice e richiede, ad esempio, meno acqua», spiega Ricotti.

Molti dei nuovi progetti di SMR fanno largo uso della cosiddetta sicurezza passiva, che sfrutta leggi fisiche per eliminare l’intervento dell’uomo e spesso anche la necessità di pompe ed energia elettrica per garantire la sicurezza del reattore. In questo modo si evita la ripetizione di uno scenario come Fukushima, in cui l’eccezionale onda di tsunami ha causato il disastro mettendo fuori uso i generatori elettrici.

Anche il nucleare, insomma, si muove per abbandonare le grandi e ingombranti strutture del passato e andare verso strutture più ridotte. «C’è molto interesse, attualmente, per questa tecnologia», spiega Ricotti. «I più attivi sono, nell’ordine, i russi – che stanno costruendo due reattori montati su chiatte che per il 2017-2018 saranno operativi. I secondi sono i cinesi, che stanno costruendo reattori a gas con la tecnologia cosiddetta pebble bed. I terzi sono gli argentini, che negli ultimi vent’anni hanno portato avanti un loro progetto».

Il Regno Unito capofila

Da parte loro, i Paesi occidentali, che sembravano aver perso interesse per la costruzione di nuovi impianti, si stanno preparando molto seriamente. La strada è stata aperta dagli Stati Uniti, con il Dipartimento dell’Energia che ha deciso di investire 250 milioni di dollari in questa tecnologia. Uno dei progetti americani più interessanti, il NuScale, funziona senza pompe ed energia elettrica e dovrebbe ricevere l’approvazione da parte delle autorità di controllo nei prossimi cinque anni.

In Europa, chi ha fatto i passi più concreti per diventare il primo utilizzatore degli SMR è stato il Regno Unito. Il ministro dell’Economia britannico George Osborne ha detto di voler rendere il Paese «un leader globale nelle tecnologie nucleari innovative» e nell’ultimo budget ha destinato 250 milioni di sterline nella ricerca e nello sviluppo degli SMR, lanciando anche una competizione per il miglior design.

Il professor Ricotti ritiene che i prossimi cinque anni saranno decisivi. «I primi SMR veramente innovativi saranno pronti e operativi. E si vedrà come andranno il lancio e il consolidamento dei processi dedicati». Anche il nostro Paese, aggiunge, ha il suo ruolo nello sviluppo di questa nuova tecnologia: «L’Italia è entrata in questo campo di ricerca sin dal 2000. Ha avuto una certa leadership tecnologica e sta addirittura sviluppando un simulatore, un impianto che dovrebbe simulare il comportamento degli SMR negli stabilimenti SIET di Piacenza, che hanno strutture uniche al mondo. Persino alcuni progetti americani, e lo stesso NuScale, sono venuti in Italia a testare alcuni componenti».

La ricerca italiana, attraverso il Consorzio Interuniversitario per la Ricerca Tecnologica Nucleare (CIRTEN) collabora a progetti internazionali con francesi e inglesi. La domanda cruciale è se le nuove centrali rese possibili dagli SMR possano portare a una vera svolta nel mondo del nucleare. «Penso di sì – risponde Ricotti – perché negli ultimi anni si sta andando verso un ripensamento della struttura della produzione di energia elettrica, in direzione più distribuita. Gli SMR cambiano il paradigma classico del nucleare ed eviterebbero scenari tipo Fukushima».

I nuovi reattori SMR sono pensati per essere più piccoli e compatti. Invece delle strutture cosiddette “a loop”, in cui fuori dal reattore restano lunghe tubazioni, il generatore di vapore, le pompe e tutti gli altri impianti, l’innovazione degli SMR consente di inserire tutti i componenti esterni all’interno del reattore. Un unico recipiente in pressione in cui c’è combustibile, generatore di vapore, pompe. «Molto più semplice da vedere e da capire, con estrema compattezza e possibilità di eliminare incidenti», commenta Ricotti.

Nuovi e vecchi problemi

Certo, le incognite intorno a questo tipo di progetti restano numerose. La prima riguarda i costi, la vera croce delle vecchie e nuove imprese commerciali nel campo, come documenta impietosamente da anni il World Nuclear Status Report, relazione indipendente sullo stato del nucleare nel mondo. Nel caso degli SMR, la minor potenza dell’impianto fa aumentare il costo per kilowatt-ora, almeno sulla carta, ma la speranza è che l’uso più ampio di sistemi di sicurezza passivi possa aiutare a mantenerli contenuti e competitivi.

Ci sono poi i vecchi problemi dell’energia nucleare, che il nuovo design non elimina. In primo luogo, il tema delle scorie, che resta uno dei più sensibili e spinosi per i Paesi che hanno o hanno avuto un’industria nucleare (e l’Italia, presto, dovrà tornare a parlarne seriamente). E anche gli SMR dovranno fare i conti con l’opposizione dell’opinione pubblica verso il nucleare, specialmente dopo il disastro di Fukushima.

Le cose non sono rese più facili dal fatto che, proprio per la loro natura più ridotta, i reattori modulari possono essere costruiti in molti più siti rispetto alle grosse e ingombranti centrali tradizionali. Solo il tempo, insomma, dirà se gli SMR sono davvero la speranza per dare nuova vita a un’energia che può sembrare definitivamente consegnata al secolo scorso.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club