A prima vista è uno strano testacoda della storia, il paradossale e casuale incontro tra due opposti. E invece c’é qualche cosa di più, il segno di un’ Europa cambiata ormai per sempre. Domani mattina (martedì) a Oggersheim, sobborgo di Ludwigshafen, l’ex cancelliere Helmut Kohl tedesco riceverà a casa sua con tutti gli onori Viktor Orbán, primo ministro ungherese. A 86 anni compiuti Kohl è vecchio e malato: parla a fatica, si muove in carrozzina e comunica con il mondo esterno solo attraverso la seconda moglie, di quasi quarant’anni più giovane. Ma l’incontro con Orbán l’ha voluto e organizzato con ostinazione: «Viktor è un grande europeo», dichiarò un paio di anni fa.
I due si conoscono da quasi vent’anni. Gli ultimi mesi al potere del tedesco, nel 1998, coincisero con l’arrivo alla ribalta governativa dell’allora giovane politico ungherese. All’inizio del 2000, quando Kohl era già finito nel tritacarne dello scandalo, i finanziamenti illeciti alla Cdu, Orbán gli conferì una importante onorificenza, «per aver tanto contribuito alla fine della guerra fredda». Poi l’ex cancelliere gli diede una mano in campagna elettorale. Anche grazie a Kohl, a suo tempo Fidesz, il partito di Orbán, fu ammesso nel Partito Popolare Europeo, dove, nonostante le dichiarazioni roboanti contro i burocrati comunitari (spesso appartenenti alla stessa famiglia popolare), per il momento rimane.
Eppure i due sembrerebbero distanti anni luce. Da una parte il padre dell’Unione Europea, il fautore di una Germania europea in contrapposizione a un’Europa tedesca, l’uomo che per tanti anni a Bruxelles ha fatto da ufficiale pagatore: durante le trattative più difficili e scabrose i diversi Paesi si scannavano per giorni e notti. Poi arrivava il cancelliere, apriva la borsa e a forza di marchi smussava e attutiva le tensioni, nel nome della dolorosa responsabilità storica che ricade sulla Germania.
«La soluzione del problema dei profughi – scrive Kohl – è nei Paesi di provenienza, non in Europa. Il nostro continente non può diventare una nuova patria per milioni di persone in stato di emergenza umanitaria in tutto il mondo»
Dall’altra parte, invece, c’è il teorico della democrazia autoritaria, l’uomo che ha dichiarato di diffidare del liberalismo all’occidentale, che guarda a Vladimir Putin come modello di stabilità, unico strumento per garantire la crescita economica e il benessere del popolo inteso come comunità. Un mesetto fa, in un discorso tenuto in occasione della festa nazionale ungherese, Orbán ha ancora una volta ribadito il suo manifesto politico. Il suo governo ha l’obiettivo di combattere «la distruzione dell’Europa», senza lasciarsi intimidire «dai marci sostenitori a parole dei diritti umani». Gli emigranti portano «il crimine e il terrore in Europa», presto «apriranno la caccia alle nostre ragazze e alle nostre donne. Viene presentata come un’emergenza umanitaria ma è un’occupazione e se vogliamo frenare l’invasione dobbiamo frenare prima di tutto Bruxelles». L’impresa non è facile, perché l’Europa «non è libera, la verità non si può dire». E se un tempo erano i carri armati russi a chiudere la bocca a milioni di europei «oggi ci pensano la stampa internazionale, i diffamatori, i ricattatori, le minacce».
Suonano lontane queste parole da quelle del vecchio e saggio cancelliere, amico di Mitterrand e seguace di Adenauer? No, niente affatto, almeno secondo l’interessato. Ed è lui stesso a spiegarlo, in un appello “La mia preoccupazione per l’Europa”, parzialmente pubblicato durante il weekend dal quotidiano tedesco Tagespiegel. «La soluzione del problema dei profughi – scrive Kohl – è nei Paesi di provenienza, non in Europa. Il nostro continente non può diventare una nuova patria per milioni di persone in stato di emergenza umanitaria in tutto il mondo».
Nel mirino finisce, senza che questa sia mai nominata, l’apertura della Merkel ai profughi del settembre scorso: «Decisioni solitarie, per quanto di volta in volta possano essere motivate, e l’iniziativa di singoli Paesi appartengono al passato». Perché , spiega l’ex cancelliere «il ritorno a un pensiero nazionalistico mette in pericolo la pace e la nostra libertà». Molti dei profughi arrivano «da diversi contesti culturali. E seguono in larga misura concezioni lontane da quella giudaico-cristiane, su cui si fondano i nostri valori e il nostro ordine sociale…è in gioco la nostra esistenza». E su questo, conclude Kohl, «sono perfettamente d’accordo con il mio amico Viktor Orbán».