In un video promozionale realizzato da Battelle e dalla Ohio State University viene descritto tutto quello che serve sapere di Ian Burkhart, un giovane di 24 anni che sei anni fa, durante una immersione, aveva riportato una grave ferita alla spina dorsale.
A quattro anni dall’incidente, Burkhart si era sottoposto a un intervento per impiantare un chip nel cervello che, oggi, gli permette di muovere la mano paralizzata. Il chip registra l’attività dei neuroni mentre il cervello pensa di muovere la mano. I segnali raccolti vengono quindi trasferiti a una speciale manica, legata al polso e ricoperta di elettroni, che rilascia lievi scariche elettriche nei muscoli delle braccia.
Oggi, semplicemente pensandoci, Burkhart è in grado di aprire e chiudere la mano, oltre che muovere indipendentemente le singole dita. Nel video, riesce persino a suonare una chitarra, anche se lentamente.
Oggi, semplicemente attraverso il pensiero, Burkhart è in grado di aprire e chiudere la mano, oltre che muovere indipendentemente le singole dita. Riesce persino a suonare una chitarra, anche se lentamente
L’intervento ha permesso di creare un “bypass neurale”. Battelle, un’organizzazione di ricerca indipendente, e la Ohio State hanno raccontato su Nature i dettagli della storia di Burkhart. Prima di lui, altri pazienti hanno controllato robot con il pensiero. Dieci anni fa, un gruppo di scienziati tedeschi aveva connesso un monitor EEG a un sistema per la stimolazione della mano, creando un bypass neurale semplice.
Burkhart è però la prima persona a possedere un collegamento artificiale diretto fra i neuroni nella corteccia cerebrale e l’arto paralizzato (dopo di lui, un altro paziente ha ricevuto lo stesso intervento).
Gli scienziati hanno chiesto a Burkhart di pensare a ciascun movimento; una richiesta impegnativa. «È come dare un esame di sette, otto ore», racconta. «Per i primi 19 anni della mia vita ho dato per scontato che la mia mano avrebbe fatto qualunque cosa gli avessi ordinato. Ora devo pensare a ciascun movimento e spezzettarlo».
«È come dare un esame di sette, otto ore. Per i primi 19 anni della mia vita ho dato per scontato che la mia mano avrebbe fatto qualunque cosa gli avessi ordinato. Ora devo pensare a ciascun movimento e spezzettarlo»
Non è ancora chiaro se questa tipologia di protesi neurale saprà veramente aiutare le persone affette da paralisi, perché al mondo non ci sono abbastanza paralitici da motivare l’interesse commerciale [delle società biomedicali, ndr]. L’intervento per ricevere un impianto cerebrale, oltretutto, è alquanto invasivo.
L’intervento è anche lontano dall’essere funzionale. Uno spesso cavo connette il portale impiantato nel cranio di Burkhart alla manica elettronica allacciata attorno al suo braccio, che a sua volta deve essere regolata a seconda del movimento che decide di compiere (fra qualche anno, chip wireless in via di sviluppo potrebbero semplificare il tutto).
Burkhart può solo utilizzare questo sistema in laboratorio. Ciononostante, quando ho chiesto al giovane se sarebbe disposto a portare a casa tutta l’attrezzatura, mi ha risposto che lo avrebbe fatto in un batter d’occhio. «Non è facile come accendere o spegnere un interruttore», dice, «ma i limiti sono facilmente surclassati dal beneficio di poter tornare ad afferrare e muovere qualcosa».