Alla fine la partita sul capo della procura di Milano si è chiusa, e a spuntarla è stato l’attuale procuratore aggiunto del capoluogo meneghino Francesco Greco, al quarto piano del Palagiustizia da 37 anni. Al fotofinish ha bruciato gli altri due candidati Alberto Nobili, altro aggiunto della procura milanese, e Giovanni Melillo, attuale sottosegretario alla Giustizia che alla fine ha revocato la domanda per concorrere all’incarico.
Il pm è arrivato sulla poltrona più alta della procura grazie, ha scritto il consigliere del Csm Balducci che lo ha proposto, alla «maggiore caratura delle doti attitudinali nell’attività di direzione». Corruzione e criminalità finanziaria i suoi punti forti: negli ultimi cinque anni ha trattato oltre 14 mila fascicoli con un recupero per l’Erario di oltre 3,6 miliardi di euro. Nota dolente sono le sette inchieste avocate a Greco nel 2013 dalla procura generale la quale ritenne che le archiviazioni predisposte dal pubblico ministero fossero troppo precipitose. Tra le tante inchieste le più recenti hanno riguardato la bancarotta del San Raffaele e della Fondazione Maugeri, per cui è ancora a processo per associazione a delinquere e corruzione l’attuale senatore ed ex presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni.
Greco, anche se con un profilo bassissimo, è stato tra i 62 firmatari dell’appello pro Bruti durante la guerra in procura tra l’ex procuratore capo e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo
Alla fine dunque Francesco Greco l’ha comunque spuntata. Una gara incerta caratterizzata dai tentennamenti in sede di votazione del Consiglio Superiore della Magistratura, che ha trovato una quadra solo a sei mesi dal pensionamento dell’ex capo della procura Edmondo Bruti Liberati. Una nomina in continuità con la gestione Bruti Liberati: Greco, anche se con un profilo bassissimo, è stato tra i 62 firmatari dell’appello pro Bruti durante la guerra in procura tra l’ex procuratore capo e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Coincidenza vuole che proprio nella stessa mattinata in cui arriva l’incoronazione di Greco, il procuratore generale della Cassazione ha chiesto di confermare il trasferimento d’ufficio di Robledo, accusato di aver passato all’avvocato della Lega Nord, Domenico Aiello, informazioni su atti coperti dal segreto relativi all’inchiesta su rimborsi indebiti percepiti da consiglieri regionali della Lombardia del partito.
Francesco Greco, coordinatore del pool sui reati finanziari ha segnato gli ultimi trent’anni della storia della «procura più importante d’Italia». In magistratura dal 1977, figlio di un ammiraglio, inizia la sua carriera come uditore a Roma. Nel 1985 il primo arresto eccellente: è quello di Pietro Longo, segretario del Psdi, arrestato con l’accusa di aver intascato una bustarella pagare per ottenere un appalto Enel. Nella stagione di Mani Pulite Greco è tra i componenti del pool, ed è sua la prima inchiesta che ha portato alla condanna in primo grado di Silvio Berlusconi a 4 anni sulla frode fiscale Mediaset, poi confermata in Cassazione nel 2013.
Qualche tempo fa Angelo Pergolini su Panorama lo descriveva così: “un cane sciolto molto di sinistra. Che soprattutto aborre schieramenti e scuderie. Forse è anche per questo che in 15 anni ha ottenuto tanti successi professionali ma ha fatto poca (anzi nessuna) carriera”. Insomma, una cosiddetta “toga rossa” che non ama i riflettori e il dialogo. Eppure in questi anni Greco ha dimostrato di essere uno di quei pm molto attento alle ricadute politiche delle inchieste giudiziarie e che del dialogo si è fatto maestro, a partire da quello con D’Alema durante la bicamerale. Era possibile una “soluzione politica” al periodo post mani pulite e una riforma della Giustizia? Questo il quesito che Greco rispedì però gentilmente al mittente, ma da allora i palazzi romani hanno trovato nel pm un valido terminale adatto al dialogo.
I “cold case” più spinosi pronti sulla sua nuova scrivania riguardano soprattutto Expo e una parte degli appalti dell’esposizione
Nel 2005 le strade di Greco e della politica si incrociano di nuovo nelle inchieste sulle scalate bancarie ad Antonveneta e Bnl, insieme a quella tetanta di Stefano Ricucci alla Rcs, e in quell’anno arrivano pure le prime voci su un suo incarico ai vertici della Banca d’Italia. Non se ne farà nulla e lui andrà avanti a occuparsi del filone milanese sul crac Parmalat. Intanto tra un convegno e l’altro sulla finanza a Courmayeur si concede anche il piacere di sciare, lasciando sulle piste del Monte Bianco anche un tendine d’Achille.
Sempre critico verso il mondo della finanza, «controllori esterni, revisori, analisti, agenzie di rating, che andrebbero abolite, sono inattendibili o collusi», diceva proprio in quel di Courmayeur, ha più volte pizzicato anche le autorità di vigilanza come la Consob. Sul falso in bilancio, per esempio, ha sempre avuto le idee chiare: «in Italia è più grave fare il gioco delle tre carte all’angolo di una strada o masterizzare un cd».
Il personaggio è sempre piaciuto a sinistra, e pure a destra gli ammiratori non mancano. Tanto che a partire dalla metà degli anni 2000 il suo nome è stato spesso associato ai posti di vertice delle istituzioni finanziarie italiane o chiamato come saggio nei percorsi di riforma dai governi che si sono succeduti. Non ha fatto eccezione il governo Renzi che ha fatto di Francesco Greco il suo primo consulente fiscale per le norme sul rimpatrio dei capitali. Da gennaio 2014 quindi il nuovo capo della procura di Milano è dato come molto vicino alle stanze del governo e nel maggio dello stesso anno il suo nome è stato candidato come presidente di Equitalia al posto di Attilio Befera. Anche lì non se ne fece nulla, eppure la ragnatela dei rapporti di Greco è ampia e coinvolge pure Beppe Grillo, con cui chiacchierava amabilmente nel 2008 in un bar all’isola della Maddalena.
Insomma ne è passato di tempo da quando dalle colonne della rivista Mob contestava la legislazione anti terrorismo nel pieno degli anni di piombo. Gli angoli col tempo si sono smussati e macinando inchieste, fascicoli e rapporti Greco si è fatto strada.
I “cold case” più spinosi pronti sulla sua nuova scrivania riguardano soprattutto Expo e una parte degli appalti dell’esposizione. I maligni dicono che quei casi rimarranno “cold”, cioè dentro un cassetto, senza troppo disturbare la candidatura e la probabile sindacatore di Beppe Sala, che di Expo è stato amministratore delegato e commissario unico del governo.