Effetto Salvini: in Europa la destra vola, la Lega è al palo

La altre forze populiste europee avanzano e conquistano posizioni, ma per il Carroccio i sondaggi sono fermi da mesi, e l’espansione a Sud è una chimera. A parte le sperate mediatiche la Lega di Matteo non ha né il fascino barbarico, né il pensiero strutturato, di quella di Bossi

Dice Matteo Salvini che l’idea di un accordo con il Movimento Cinque Stelle è una gran bufala, e però sul suo nuovo giornale Il Populista fa testare la possibilità con un sondaggio online. «Con chi vorresti allearti alle politiche?» è la domanda del test. Vince per ora l’intesa con Fratelli d’Italia, ma l’opzione grillina è al secondo posto, molto sopra un nuovo accordo con Berlusconi e l’ipotesi di correre da soli. Agganciare il carro della protesta anti-sistema è per il capo del Carroccio l’unica sponda immaginabile per salvarsi dal processo interno che scatterà qualora il suo piano di egemonia nazionale dovesse fallire a Roma. Sarebbe la seconda bocciatura dopo quella delle Regionali, che nel 2014 consegnarono alla Lega risultati risibili al Centro-Sud nonostante l’impegno diretto e di piazza del suo leader: dal miserrimo 0,56 della Puglia all’1,60 del Lazio. Dove andò “bene”, come in Toscana e Umbria, le liste leghiste arrivarono al 2,5. Considerando che dieci anni fa la Lega nel Centro-Sud stava tra lo 0,5 e l’1 per cento senza nemmeno alzare un dito, il progresso delle percentuali rapportato all’investimento politico ed economico non è tra i più lusinghieri.

Che Salvini ci diventi matto è comprensibile. In tutta Europa le forze populiste, con il suo stesso messaggio, avanzano e conquistano posizioni. Succede in Austria, in Scozia, in Francia, e un po’ ovunque ci sia un test elettorale. Perché in Italia no? Perchè da noi le intemerate alla Donald Trump non rendono in termini di consenso? Perché i sondaggi restano fermi da sei mesi nonostante i fuochi d’artificio in tv, il libro, l’incessante tour nelle città? A Roma, per dirne una, l’asticella fissata è il 4 per cento, ma si ha paura di non toccare neanche quella e si lotta per stare sopra lo sbarramento del 3 che è la dead line sotto la quale non c’è rappresentanza in consiglio. A Napoli, per dirne un’altra, niente lista: tre mesi fa un sondaggio riservato la quotò all’1,1, con l’avvertenza che però avrebbe fatto perdere il 2,6 per cento a qualsiasi candidato si fosse associato al Carroccio, vista l’avversione della città per il leghismo.

In tutta Europa le forze populiste, con il suo stesso messaggio, avanzano e conquistano posizioni. Per la Lega i sondaggi restano fermi da sei mesi nonostante i fuochi d’artificio in tv, il libro, l’incessante tour nelle città

La verità è che a Salvini, per quanto ci provi, manca la forza barbara di Umberto Bossi, lui sì davvero autore di una rottura della semantica politica quando si affacciò sulla scena alla fine degli anni ’80, interprete convinto di una questione che era reale – la “questione del Nord” – e non solo megafono di pulsioni disordinate.
In canottiera, sudato, sicuramente populista e inventore di bizzarri riti neopagani come il battesimo di Pontida, Bossi tuttavia operava dentro un quadro di questioni autentiche e di un pensiero strutturato. Lavorava con Gianfranco Miglio, non con Vattelapesca, e incassò endorsement sorprendenti come quello di Giorgio Bocca («La Lega è un fenomeno serio, l’uomo politico con maggior futuro è Umberto Bossi») oltreché il sostegno e i consigli di nomi più prevedibili, da Marcello Staglieno a Baget Bozzo. La Lega vive ancora di rendita di questo, al Nord. Mentre al Sud, escluso da quella originaria costruzione politico-ideologica, non è arrivata allora ne’ probabilmente arriverà mai.

C’era un alone salvifico, quasi religioso, nella Lega che prometteva la riscossa e l’indipendenza al Settentrione, ma anche un retroterra di riferimenti culturali più complessi e articolati di quel che normalmente si crede. Arrivavano da Miglio e dal suo Gruppo di Milano, un pool di professori che per anni si impegnò sulla riforma della Costituzione, dal progetto delle macro-regioni poi inserito nel Decalodo di Assago e da molto altro. Nell’istanza autonomista c’era il sogno delle piccole patrie europee, l’idea di nuovi corpi intermedi a sostituire l’archeologia sindacale della Triplice, il rapporto diretto con le categorie teorizzato con studi e confronti. La nuova Lega che mette alla porta uno come Pietrangelo Buttafuoco “perchè musulmano” è una parodia di quella stagione fondativa. Tiene le posizioni al Nord perchè lì è forza di governo, ma non può certo conquistarne altrove.

In canottiera, sudato, sicuramente populista e inventore di bizzarri riti neopagani come il battesimo di Pontida, Bossi tuttavia operava dentro un quadro di questioni autentiche e di un pensiero strutturato. Lavorava con Gianfranco Miglio, non con Vattelapesca

Anche per questo Matteo Salvini corteggia il Movimento Cinque Stelle con un fervore al momento poco ricambiato. Nel frullatore della politica usa-e-getta che è la caratteristica della sua leadership, in assenza di una costruzione solida e di lungo periodo, le suggestioni emotive diventano il motore di tutto. Ieri fu l’assalto al Palazzo d’Inverno berlusconiano. L’altro ieri la prospettiva di un partito lepenista italiano. Due mesi fa l’idea di costruire in Europa un largo fronte sovranista e pro-Putin. E oggi arriva il rendez-vous immaginario con la Raggi, in attesa che qualcos’altro archivi pure quello e lo sostituisca: una nuova pax padana con Silvio in vista delle elezioni politiche 2017 o qualsiasi altra tattica funzionale a tenere alto il morale dei fan, sperando che funzioni. Almeno per un po’.

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