Nonostante la cosa possa far ridere molte persone, la giornata per la libertà di stampa esiste, e cade il 3 maggio. Lo ha deciso l’Onu, per ricordare a tutti l’importanza di una stampa libera, e ha scelto la data per commemorare la dichiarazione di Windhoek – città della Namibia – con cui i giornalisti africani hanno riconosciuto la fondamentale importanza dell’informazione.
Il problema della libertà di stampa, o di informazione, è uno dei più dibattuti negli ultimi tempi. Tra letture allarmistiche e analisi meditate, varia in modo notevole da Paese a Paese. In mezzo, creano inquietudine gli agglomerati editoriali (specie quelli impuri), il controllo della politica, la censura, il ricatto economico delle grandi aziende – sia in modo diretto, sia in modo indiretto, cioè con il tramite della pubblicità. Ma non solo. C’è anche la questione del precariato, i ritardi nei pagamenti, la standardizzazione delle news e dei giornalisti. Tutti elementi di difficoltà per un mestiere già difficile da inquadrare, diviso com’è tra le esigenze di mercato (leggi: conti a posto) proprie di una qualsiasi azienda, e l’obbligo di trovare e fornire notizie in modo imparziale, preciso e tempestivo, magari con una lettura politico/ideologica (meglio se dichiarata) con cui inquadrare i fatti. Insomma: inseguire il lettore, non dimenticare l’editore, servire la verità. In ordine sparso, anche invertendo i verbi.
Ma c’è un’altra cosa ancora. L’Unesco ha indetto un riconoscimento speciale per questa giornata, scegliendo di premiare, di anno in anno, un giornalista che si è distinto per le sue battaglie per la libertà. Il tutto in nome di Guillermo Cano Isaza, giornalista colombiano sconosciuto ai più, morto ucciso il 17 dicembre del 1986 davanti alla redazione dell’El Espectador, il giornale che dirigeva.
I suoi editoriali e le sue inchieste non erano piaciuti ai rappresentanti del cartello di Medellìn, in un’epoca, gli anni ’80, in cui il conflitto tra narcotrafficanti e forze dell’ordine aveva raggiunto il suo apice. Erano i tempi di Pablo Escobar e del sangue nelle strade. Los Priscos, l’organizzazione criminale minore accusata del suo omicidio, in quel periodo poteva contare addirittura 300 effettivi, incaricati di uccisioni, violenze e rapine. In un decennio di paura e violenza la penna di Guillermo Cano Isaza si era distinta per il coraggio e, soprattutto, l’ottimismo. Le poche righe del suo ultimo editoriale, scritto il giorno della sua morte, lo riassumono in pieno: “Anche se ci sono fenomeni che obbligano allo scoramento e forse anche alla disperazione, non indugio nemmeno un istante a sottolienare che lo stato d’animo dei colombiani saprà muoversi in direzione di una società più ugualitaria, più giusta, più onesta e più prospera”.