A parte le ironie e gli accenti disperati, il coro di lamentazioni di fronte alle previsioni (peraltro non nuove) sull’età pensionabile dei nati negli anni ’80 – cioè almeno 75 anni – è senza dubbio esagerato. Come spiega uno studio recente pubblicato sul Journal of Epidemiology & Community Health, lavorare di più fa vivere più a lungo. Lo dice anche il Guardian: se si è in salute (ovvio) e non si lascia il lavoro a 65 anni, si vivrà molti anni di più.
I dati provengono da una ricerca condotta dall’Oregon State University, che si è basata sull’esperienza di circa 3mila persone, comprese nell’Healthy Retirement Study. Nel 1992 erano tutti in attività, e nel 2010, invece, tutti in pensione. Circa il 33% dei pensionati aveva smesso di lavorare a 66 anni, o poco di più, mentre il 12% aveva smesso a 65 anni. Il 55%, cioè la maggioranza, era andata in pensione prima dei 65 anni. Risultato: la mortalità – ma sarà una correlazione spuria? – del segmento di persone sane (cioè non afflitte da particolari problemi di salute al momento della pensione) che è andato in pensione prima dei 65 anni è stata più alta. Per gli altri, il rischio era più basso del 56%. Come è possibile? La noia uccide?
La risposta, al momento, è questa: lavorare più a lungo significa vivere più a lungo. “Forse non è una regola valida per tutti”, spiega Chenkai Wu, uno degli autori della ricerca, “ma lavorare porta benedici economici e sociali che possono avere conseguenze sulla vita di un individuo”. Cioè, a livello materiale si può immaginare che più soldi aiutano a curarsi meglio, e – in generale – a vivere meglio. A livello psicologico, avere un’attività da svolgere ogni giorno aiuta a riempire di senso la vita – sempre per quell’assurda convinzione che, nella vita, un senso esista e vada cercato.