Un anno esatto e ricominceremo a cercare in cielo la Stazione Spaziale Internazionale, a tenere d’occhio Twitter, ad aspettarci i modi più assurdi per contattare gli astronauti. Anzi l’astronauta italiano: Paolo Nespoli, che tornerà a bordo della Iss nel maggio 2017, per la terza volta, a 60 anni. Per lui sono in vista una serie di record, almeno per un astronauta europeo, sia per la permanenza nella Stazione spaziale sia per l’età. Ma soprattutto, il ritorno sarà il modo di saziare la fame di tornare a galleggiare, un’esperienza che, per chi la prova, segna per sempre la vita che segue. Lo abbiamo intervistato a Milano, durante il Festival dell’Energia 2016.
Qual è il suo stato d’animo? È vero che non vede l’ora di andare, che è “eager to go”?
Andare nello spazio è una cosa eccezionale. Se ne hai l’opportunità, perché ci sono persone che si preparano per anni e non riescono ad andare in orbita, è un evento così eccezionale che fa diventare tutto eccezionale. Non sono impaziente di volare adesso: sono contento, soddisfatto di questa opportunità. E sono anche orgoglioso che mi sia stata data. Per una nazione avere un astronauta in orbita vuol dire aspettarsi ritorni molto importanti. Qualcuno ha deciso che ero in grado di dare questi ritorni, e quindi sono pronto a dare il mio meglio affinché questa opportunità sia di valore per tutti.
Quanto le manca l’andare nello spazio? Ci sono degli astronauti ne sono ossessionati. Tra quelli delle missioni Apollo c’è Alan Bean, che da quando andò sulla Luna ha passato la vita a dipingerla.
Lo spazio è un ambiente così unico, così speciale, che ti dà delle cose così diverse, che non trovi da nessuna parte, che sì: potrebbe essere quasi come una droga. Però, paradossalmente, quando sei nello spazio una delle cose che ti manca è la Terra. Quando sei a terra non vedi l’ora di andare nello spazio, quando sei nello spazio il giorno in cui ritorni ringrazi la tua fortuna che ti ha portato a fare queste cose. Quando sono tornato dalla seconda missione ho sentito un po’ questa mancanza di spazio, ma poi ho capito che avevo due possibilità: o continuare a pensare, a focalizzarmi su questa cosa che mi mancava. O focalizzarmi sull’aver fatto un’esperienza sostanzialmente unica: quindi godere di quello che avevo fatto e non “sgodere” di quello che non sarei riuscito a fare in futuro.
«Lo spazio è un ambiente così unico, così speciale, che ti dà delle cose così diverse, che non trovi da nessuna parte, che sì: potrebbe essere quasi come una droga»
Lei ha parlato di una grande libertà che si sente quando si è in assenza di gravità, in orbita. Come può rendere l’idea di questa libertà?
Direi che uno si sente leggero, libero, ma la deve conquistare questa libertà, e la conquista passa attraverso la perdita della “terrestrialità”. È una cosa un po’ complessa, ma diciamo che quando uno arriva in orbita è una sensazione completamente nuova. Noi facciamo tanto addestramento sulla Terra, però quando arrivi sulla Stazione Spaziale è lo stesso la prima volta che ti trovi in questa situazione. Sai perfettamente dove sono le cose, che cosa c’è quando si apre un pannello, come fai a mettere a posto qualcosa se si rompe, ma quello che non sai è come tu ti sentirai. All’inizio tendi a comportarti come se fossi sulla Terra. E le cose non funzionano, vai a sbattere, cerchi di fare delle cose e non ci riesci. Quando finalmente capisci che sei in un posto nuovo e devi cominciare a esplorare, ti senti come un bambino che prova a fare di tutto di e di più, finché non scopre come il funzionamento di tutto. Questa sensazione di sperimentare, di provare, di cose nuove che succedono, è una cosa bellissima. E questa è la sensazione di libertà a cui mi riferivo.
Sempre per le missioni Apollo, gli astronauti venivano selezionati per personalità. C’erano quelli più freddi e quelli più empatici. Lei dove si incasella?
Sicuramente, specialmente a sentire gli americani, io sono decisamente nella categoria empatica. Mi classificano come l’italiano che parla col corpo, al quale si leggono le sensazioni e gli stati d’animo solo guardandolo in faccia. Sono sicuramente un empatico.
Oggi l’empatia non è solo tra colleghi astronauti ma anche con il pubblico. Nelle ultime missioni che c’è stato un sempre maggiore rapporto con chi sta a terra, attraverso i social network. Anche lei twittava quando era in missione. Come si vive questo rapporto coi social network quando si è in orbita?
All’inizio l’uso dei social network veniva considerato come una perdita di tempo. Come un distogliere l’attenzione e usare il tempo per fare cosettine triviali o banali. Devo dire che non è proprio così. Sono stato il primo europeo a twittare nello spazio, e quindi a coinvolgere il grande pubblico. La cosa è servita a me, tanto per cominciare, per non sentirmi isolato. Ma anche per sentirmi in un certo senso utile, per far partecipi tutti gli altri delle cose che scoprivo tutti i giorni. E ho sentito, leggendo i tweet di risposta e le meraviglie che mi diceva la gente, quanto queste foto bastassero per portare attenzione verso i problemi tecnologici, i problemi ecologici, verso lo spazio. Insomma, i social media sono diventati un modo importante di comunicare per gli astronauti. E teniamo poi presente il fatto che i tweet non vanno a impattare sulle ore di lavoro: li facciamo nell’ora e mezza libera che abbiamo dopo il lavoro, prima di dormire, o nell’ora e mezza libera che abbiamo alla mattina prima di cominciare a lavorare.
«A sentire gli americani, io sono decisamente nella categoria degli astronauti empatici. Mi classificano come l’italiano che parla col corpo, al quale si leggono le sensazioni e gli stati d’animo solo guardandolo in faccia»
A proposito di comunicare, negii ultimi tempi le prime pagine dei giornali hanno dato molto spazio a notizie legate al cosmo: la conferma delle onde gravitazionali, gli annunci della Nasa sugli esopianeti, le foto di Plutone, i segnali dalla sonda Rosetta su una cometa, l’annuncio della missione Exomars dell’Esa, la sfida tra Elon Musk e Jeff Bezos per i lanci di razzi in grado di ritornare a terra. Ma non solo: ci sono stati anche tre film come Gravity, Interstellar e The Martian. In Italia abbiamo avuto un libro, Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, che è stato un fenomeno editoriale. C’è un cambiamento nell’interesse delle persone comuni verso la scienza?
Questa è una domanda complessa, non so se sono titolato a rispondere razionalmente, perché occorrerebbe un sociologo, io sono solo un ingegnere. Da quello che sento e che vedo nelle presentazioni alle scuole, trovo sempre un’attenzione alta degli studenti. È facile parlare di spazio e catturare immediatamente la loro attenzione. Li vedo che per un attimo si distraggono dalle cose che guardano tutti i giorni dalla televisione, ovvero che si deve avere successo, si devono fare i soldi, si deve giocare a calcio, si deve essere famosi. Capiscono che forse anche un ingegnere che costruisce razzi o un astronauta può non solo avere successo ma anche divertirsi.
In una delle ultime missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale l’astronauta Scott Kelly, che aveva il fratello gemello a terra, è stato usato per esperimenti per capire su come il corpo invecchia in assenza di gravità e in che condizioni arriverebbe una persona su Marte. Si sente mai una cavia per esperimenti scientifici?
Ma sempre.
E come la fa sentire questo?
È una delle cose che facciamo sempre quando siamo in orbita: la scienza della vita e quindi l’analisi del tuo corpo, di come il tuo corpo si comporta è una cosa importantissima. Sono esperimenti scientifici che vengono fatti secondo i protocolli internazionali. Sono valutati da commissioni scientifiche ed etiche e ti viene addirittura chiesta la tua autorizzazione personale a partecipare. Potresti benissimo rifiutarti di partecipare. La mia filosofia è che il tempo in orbita è così prezioso e che i comitati facciano talmente bene il loro lavoro che la disponibilità è massima. Sono sicuro che non ci facciano fare cose inutili o pericolose, quindi sono solo orgoglioso di essere oggetto di esperimenti.
In una delle precedenti missioni lei ha avuto un episodio pericoloso: la rottura di un macchinario mise a rischio la somministrazione dell’ossigeno in cabina. Quando si studia la storia dello Shuttle, si vede che nella prima missione le probabilità di un incidente erano altissime. Che cos’è il rischio per lei?
Il rischio è una valutazione che noi facciamo riguardo a possibili conseguenze negative di situazioni in cui ci troviamo. Ma noi valutiamo il rischio sempre, nella vita di tutti i giorni, perfino quando ci alziamo dal letto, andiamo in bagno o in auto. Noi corriamo sempre dei rischi e però decidiamo che vivere la vita è più importante di rimanere bloccati a letto.
Nello spazio è maggiore.
Nello spazio per quanto mi riguarda è la stessa cosa. Certo che è una cosa pericolosa, certo che vai in luoghi ostili alla vita, ma secondo me vale la pena di correre i rischi, sia per fare un’esperienza fuori dal mondo che per i ritorni che abbiamo tutti. Teniamo conto che ci sono lavori sulla Terra ancora più rischiosi di quello dell’astronauta, eppure la gente li fa.
«Oriana Fallaci era una scrittrice estremamente importante. Io sono cresciuto con i suoi libri. Ho avuto la fortuna, a 26 anni, di conoscerla personalmente quand’ero militare ed è stata lei che mi ha chiesto che cosa volessi fare da grande. Da grande giornalista è riuscita a tirar fuori le cose che non volevo dire, perché mi vergognavo quasi, a 26 anni, a dire che volevo fare l’astronauta»
Lei ha una figlia di sette anni. Parlate di spazio? Lei vorrà sapere tutto dei suoi viaggi.
Mia figlia è curiosa, come lo sono tutti i bambini. È affascinata, come lo sono i bambini , delle cose che stanno lontano. Quindi parliamo certamente di astronauti e se le chiedo che cosa voglia fare da grande dice: «l’astronauta». Le chiedo se sia sicura, lei mi guarda con tanto d’occhi: «certo», mi risponde. L’importante, per quanto mi riguarda, non è tanto che faccia l’astronauta ma che capisca qual è la cosa che vuole veramente fare. Il mio obiettivo come padre è di esporla il più possibile a tutte le cose possibili, in modo che possa decidere con conoscenza quello che vuole fare.
In questi giorni si è parlato anche della sua amicizia con Oriana Fallaci. Riportano gli articoli che è stata molto importante per la sua scelta di fare questo mestiere. Che cosa è stata per lei?
Oriana Fallaci era una scrittrice estremamente importante. Io sono cresciuto con i suoi libri. Quando avevo 13 anni la mia fidanzatina di allora mi aveva regalato il libro di Oriana Fallaci “Se il Sole muore”, perché sapeva di questa mia idea di voler fare l’astronauta. Poi ho avuto la fortuna molto più avanti, a 26 anni, di conoscerla personalmente quand’ero militare. È stata lei, in un momento importante della mia vita, che mi ha chiesto che cosa volessi fare da grande. Da grande giornalista è riuscita a tirar fuori le cose che non volevo dire, perché mi vergognavo quasi, a 26 anni, a dire che volevo fare l’astronauta. Lei mi ha guardato e mi ha detto: “Perché no? Prova, perché se non ci provi non arrivi da nessuna parte”. Quindi in questo caso lei è stata importante nel shakerarmi, nell’agitarmi un pochettino, nel farmi guardare oltre questo muro.
Ma è vero che c’è stato anche un rapporto sentimentale o è una leggenda?
Siamo partiti dall’economia e adesso andiamo sul pettegolezzo. Oriana Fallaci e io ci siamo conosciuti e siamo diventati amici. Lo lascerei così.
«Ho conosciuto Elon Musk in California, a Los Angeles, e la sua storia è incredibile. Ci fa vedere come sia possibile sognare cose impossibil ed evitare quelli che ti dicono che le cose non si possono fare, perché si possono fare. So che lavorare con lui è massacrante, però ci lavorerei, mi piacerebbe vedere questa realtà»
Il mondo è cambiato moltissimo negli ultimi 20 anni. Abbiamo appena festeggiato i 30 anni di Internet in Italia. Oggi se si parla di spazio il cambiamento è rappresentato dalla Space X di Musk e dalla Blue Origin di Jeff Bezoz. Ci siamo emozionati per il Falcon 9 di Space X che riesce a tornare sulla Terra. Lei ci lavorerebbe con Musk?
Io ho fatto addestramento a Space X in California e nel nostro viaggio probabilmente prenderemo il volo su uno dei suoi veicoli. Ho fatto addestramento per un’altra missione, per un volo poi slittato. Ho conosciuto Elon Musk in California, a Los Angeles, e la sua storia è incredibile. Ci fa vedere come sia possibile sognare cose impossibil ed evitare quelli che ti dicono che le cose non si possono fare, perché si possono fare. Quello che Elon Musk ha fatto, sia nel settore dello spazio sia in quelli dell’auto e dell’energia sono dei passi avanti veramente grossi. Ho dei colleghi, che conosco benissimo perché erano astronauti con me, che lavorano lì e dicono che è un posto massacrante. Si corre sempre a 200 all’ora tutti i giorni e tutti i momenti.
Si è scritto che lo fa apposta, mette delle scadenze impossibili per far correre tutti al massimo.
Sì, e quindi è molto stressante. Quindi se da un lato li invidio, perché in questo momento sono all’avanguardia su tutto, dall’altro lato è un posto massacrante. Però forse ci lavorerei, mi piacerebbe vedere questa realtà.