Tortora, Knox, Bossetti: la fine del garantismo si celebra in tv

L'eredità della vicenda giudiziaria del conduttore genovese (commemorato in questi giorni) che ha fatto scuola per la sua rilevanza mediatica

Si è commemorato in questi giorni Enzo Tortora. Sono passati ventotto anni dalla morte e vengono ancora i brividi a pensare quali orrori abbia dovuto subire quell’uomo per mano della così ingiusta giustizia italiana. Un innocente non può essere perseguitato (non è un refuso) da un magistrato accecato dalla convinzione di aver beccato il pollo, pur non avendo in mano una sola piuma; avendo in mano anzi solo carta straccia. Il magistrato che si era intestato la preda Tortora – conclamato il non concepibile né giustificabile errore giudiziario – ha fatto carriera sino alla fine. E solo per un pelo, a carriera ultimata, se ne è scongiurato il salto alla vita politica.

Tra i processi mediatici con cui siamo cresciuti grazie alla tv di Santoro ed emuli, il caso Tortora fa ancora scuola. Il popolare giornalista tv viene portato fuori da casa con le manette ai polsi solo quando si è già radunato abbastanza circo mediatico per dare il giusto glamour all’iniziativa. Alla fine è lui il vincitore, ha ragione Marco Cappato a definirlo così, perché della via crucis personale, della ignominiosa rassegna di tappe penitenziali cui è stato forzato da irresponsabili con il potere di togliere la libertà, Tortora ha saputo fare un caso politico, ed ha saputo portarlo in Europa.

Un innocente non può essere perseguitato (non è un refuso) da un magistrato accecato dalla convinzione di aver beccato il pollo, pur non avendo in mano una sola piuma

L’aspetto triste della lunga storia della a-giustizia italiana, se vogliamo, è che per avere giustizia del modo ingiusto in cui vengono celebrati i processi e comminate le condanne in Italia, si finisce ancora oggi col dover ricorrere altrove, andare a Strasburgo ed appellarsi alla capacità di giudizio della Corte per i Diritti dell’Uomo dove l’Italia primeggia per ricorsi e condanne.

Il processo contro Amanda Knox e Raffaele Sollecito è stato iniquo – ha sentenziato Strasburgo dando ragione alla ex imputata americana anche sulla modalità violenta con cui sono stati condotti gli interrogatori. Amara consolazione. La Knox ai media piaceva, e si può capire; piaceva anche ai pm, e questo invece si può capire meno visto che l’immagine, la personalità, i connotati sono caratteristiche alle quali presta attenzione lo scrittore, non il giudice. Il giudice guarda le prove. E guardando le prove sia la Knox sia Sollecito sono stati assolti. Basta, fine di un incubo.

Ma per uno che alla fine si libera dalle maglie di un pm un po’ – diciamo – giuridicamente audace, ed un sistema mediatico a questi congruo, altri vi si ritrovano dentro e per tutti il meccanismo è: fatto di cronaca sensazionale, indagini che brancolano nel buio, poi una pista, una sola, che porta per forza a restringere il recinto delle possibilità. Da lì al “colpevole” è un attimo. Tant’è che pure gli inquirenti, con il conforto della stampa, finiscono col giudiziarizzare la tesi della maggioranza mediatica. E non serve neanche più andare a trovare le prove quando è così, quando c’è consenso su stampa e social.

Se l’operaio dal profilo sporcato da costumi strani sembra colpevole, è mediaticamente verosimile che lo sia, dunque per forza di cose lo è. D’altronde se non è lui, chi altro può essere?

Dei delitti commessi in Italia si finisce col sapere tutto salvo la verità, quella provata dei fatti. Né la cosa sembra importare: quello che sembra, è – e amen, tutti contenti. Se l’operaio dal profilo sporcato da costumi strani sembra colpevole, è mediaticamente verosimile che lo sia, dunque per forza di cose lo è. D’altronde se non è lui, chi altro può essere?

Nel caso di Yara Gambirasio, il «se non è Bossetti, chi è?» è la prova schiacciante della sua colpevolezza, non il Dna – sulla cui univocità di responso pare oltretutto sussistano dei dubbi. Pur in presenza di questi dubbi, il Pm chiede tuttavia che il presunto colpevole nonché unico indagato per la morte della ragazzina sia condannato all’ergastolo.

Ha senso che l’opinione pubblica ragioni così: non è tenuta a esplorare tutte le possibili piste e verificarne la tenuta probatoria. Questo obbligo pertiene i magistrati. L’opinione pubblica segue il racconto, e nel racconto il cattivo non può rivelarsi buono alla fine, senza un’improvvisa virtù sopraggiunta che gli valga il ribaltamento del giudizio. Il buono deve avere una virtù, almeno una. E chi non è buono è cattivo. Questo vale per fiction, romanzi, storie in generale. In tribunale no. Nulla di virtuoso ha Bossetti, nulla di pregevole la Knox, e questo non dovrebbe affatto, in tribunale, farne dei cattivi. Si diceva appunto che si è appena commemorato Enzo Tortora, l’innocente conclamato che pure un tribunale italiano riuscì a condannare.

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