«Loro fanno parte del mio staff» spiega agli agenti di polizia Karim – il fotografo originario del Kurdistan che ci fa da guida per qualche ora a Istanbul e che lavora per Associated Press.
Garantisce per noi e ci lasciano passare a uno dei tanti posti di blocco organizzati per questo Labor Day a Istanbul, senza nemmeno chiederci i documenti. Karim è uscito dalla portiera a destra, ha aperto il portabagagli dell’auto e ha mostrato macchine fotografiche, telecamere e zaini come riprova della sua buona fede. Gli hanno creduto o, forse, hanno solo fatto finta di niente.
Assieme a noi anche due giovani freelance tedeschi. Il taxi ci sta portando a Bakirkoy, zona sud-ovest della città, quasi in prossimità dell’aeroporto Ataturk. Il Governo turco ha concesso questa piazza periferica per la Giornata Internazionale dei Lavoratori. Ufficialmente per ragioni di sicurezza, dopo gli attentati suicidi e le bombe che hanno martoriato la Turchia negli ultimi mesi – l’ultima delle quali quattro giorni prima della manifestazione, quando una donna kamikaze si è fatta esplodere nei pressi della Grande Moschea di Bursa.
«Fanno parte del mio staff» racconta il fotografo curdo di Associated Press agli agenti di polizia che ci fanno passare. Anche quest’anno niente Piazza Taksim per l’1 maggio a Istanbul. I manifestanti confinanti in una piazza di periferia a Bakirkoy
Per chi non è del luogo potrebbe sembrare un normalissimo primo maggio: le bandiere rosse del TKH e i giovani comunisti schierati in formazione in testa al corteo; le cucine mobili; la musica degli Inti-Illimani che cantano “El pueblo unido jamàs serà vencido” come in ogni altro Labor Day al mondo; i baffi a là Ocalan “stampati”sulle facce degli uomini adulti; gli slogan e i cori contro il fascismo di regime; le immagini di persone scomparse misteriosamente: a Istanbul, infatti, ogni sabato si riuniscono le madri delle vittime “sparite” – i “desaparecidos ottomani”, quasi tutti oppositori politici o disobbedienti civili – dopo il colpo di stato del Generale Kenan Evren nel 1980, in quello che è diventato per tutti il Cumartesi Anneleri, il “Sabato delle madri”.
Nonostante le apparenze non è un primo maggio normale, almeno rispetto a quanto accaduto negli ultimi anni. Piazza Halk Pazari di Bakirkoy, lo spazio di concessione governativa, non significa nulla per molte sigle di opposizione, curde e anarchiche. È una “presa in giro”, un “contentino” – la definiscono alcuni di loro la sera prima parlando con noi in un bar – dato ai manifestanti per tenerli quieti dopo aver negato, per il terzo anno consecutivo, di poter sfilare in Taksim, nel luogo simbolo delle lotte e del sangue, come l’occupazione di Gezi Park nel 2013 o il massacro di 34 lavoratori (con oltre 130 feriti), l’1 maggio 1977, durante uno dei tanti “Bloody Sunday” turchi.
E difatti i gruppi più radicali, a Bakirkoy, nemmeno si presentano. Molti decidono semplicemente di disertare e si vede: basti pensare che nei giorni precedenti le stime parlavano di 500mila persone pronte a scendere in piazza. A occhio, di questa folla oceanica, non c’è nemmeno l’ombra.
Dovevano scendere in piazza mezzo milione di persone ma i gruppi più radicali hanno disertato: «Il luogo scelto dal governo è una presa in giro». Un morto e duecento arresti, ma qualcuno lo definisce “il Labor Day più pacifico degli ultimi anni”
Chi invece non si accontenta sono alcuni piccoli gruppi, formati da qualche decina di persone l’uno, che tentano di blitzare la polizia e raggiungere proprio Taksim. Alle prime ore di questa lunga giornata provano a sfondare a Besiktas e a Okmeydani, proprio mentre sullle agenzie e su Twitter viene rilanciata la notizia di un’esplosione in una centrale di polizia a Gaziantep, città a sud-est della nazione, e dell’arresto di quattro siriani nella capitale Ankara, accusati di stare progettando un attentato contro il corteo.
Notizie che non aiutano a far diminuire la tensione: lungo lo stradone semi deserto, che da Taksim conduce al quartiere Sisil, è un via-vai di di giornalisti e fotografi che inseguono gli agenti di polizia e i TOMA – i mezzi corazzati armati di cannoni ad acqua. Proprio uno di questi ultimi si macchia dell’evento più drammatico della giornata: durante gli scontri con alcuni manifestanti un uomo di 57 anni che attraversava la strada è stato colpito dal getto idraulico. È morto qualche ora più tardi in ospedale. Nel bilancio della giornata ci sono da inserire anche 207 fermi – erano poco più di 50 a metà giornata – secondo quanto dichiarato dagli avvocati alla stampa turca.
Uno dei fotografi che ci accompagna ha vissuto anche la manifestazione dello scorso anno: mostra sulla fronte la cicatrice dovuta alla bottiglia che lo ha colpito in testa e racconta dell’aria fetida che si respirava imbevuta di gas lacrimogeno. Quest’anno, secondo lui, non è successo nulla.
Anche a detta delle persone che ci hanno ospitato a Istanbul nel loro appartamento «questo è stato il primo maggio più pacifico che si potesse immaginare». Un morto e duecento arresti.