Voi non ci crederete. Ma io sto ridendo. Di gioia. Vivo a Londra da un anno e mezzo e questa mattina in metropolitana mi sono sentita per la prima volta diversa, separata. Non che gli inglesi non mi abbiano dato motivo di sentirmi straniera già in altre occasioni. Ma oggi è tutto diverso. Anche se Londra ha votato per l’Europa (2,2 milioni di voti pro EU contro 1,5 contro), anche se questa è la città più cosmopolita d’Europa, oggi ho un’etichetta sulla fronte. “Italiana, povera, therefore non la vogliamo”, mi ha detto l’Inghilterra più vecchia e conservatrice, che preferirà usare le “quote migranti” per accogliere cinesi e asiatici, perché si stanno facendo ricchi e guideranno il futuro. Fair enough.
Dopo mesi di ansia passati a cercare di capire cosa ne sarebbe stato di me in caso di Brexit, ho sviluppato un nuovo atteggiamento. È successo la scorsa settimana, durante una conferenza sui digital health device, quando un ottuagenario Presidente della sezione di Telemedicine & eHealth della Royal Society of Medicine si è trovato di fronte a un commissario dell’Unione Europea, ungherese. «Cosa accadrà se usciremo dall’Unione Europea» ha chiesto qualcuno dal pubblico. «Dovremo creare una nostra propria regolamentazione per questi device? Riusciremo a farlo altrettanto velocemente?» L’ottuagenario non si è lasciato scappare l’occasione. «Well», ha attaccato, gonfiando il petto e mettendosi comodo sulla poltroncina e piegando la bocca in un sorriso alquanto insolente. «L’Unione Europea ha molte competenze da offrire. Ma devo dire che l’Inghilterra ha ottime conoscenze in merito, come ha dimostrato molte altre volte. E sono quasi del tutto certo che ce la caveremmo senza troppi problemi».
Questa notte nella famiglia con cui abito è nato un nuovo bimbo. Non ha ancora un nome, perché i genitori hanno aspettato fino all’ultimo prima di decidere. «Dovrei chiamarlo Remain», mi ha detto suo padre
Quanta arroganza. Dentro quella risposta, e dentro quel tono, si raggruppa l’Inghilterra che ha votato per uscire dall’Europa. La stessa che per mesi mi ha bloccato agli incroci delle strade del mio quartiere per consegnarmi un volantino pro Brexit. Erano tutti uguali. Anziani, e tanto convinti delle loro idee da non rendersi nemmeno conto che stavano approcciando una che nei negozi di Harringey, il quartiere turco di Londra, viene più frequentemente scambiata per turca che per inglese.
Ma questa Inghilterra vecchia, stupidamente nostalgica di un passato che non tornerà più, incapace di rendersi conto che la colpa della crisi va cercata più nella City che tra noi migranti, oggi mi rende felice. Datemi dell’ingenua, ma io credo che per effetto della Brexit non monteranno solo i populismi nel resto d’Europa. Crescerà anche un’altra cosa.
Il no-Brexit party cui sono stata invitata lo scorso sabato da un’Italiana arrivata qui più di venti anni fa aveva come ospiti me e una ragazza polacca e una serie di giovani inglesi tutti impegnati a far campagna pro-EU. Il Guardian ha iniziato questa mattina a raccogliere le voci tra quel 75% di giovani che ha votato per stare in Europa. Sono tanti e molto delusi. Non c’è trentenne che abbia incontrato oggi, nel mio primo giorno da straniera in Inghilterra, che non si senta bistrattato, tradito, preso in giro dai propri padri e nonni. «I’m so sorry, Silvia», mi ha detto il mio collega fresco di laurea appena ho messo piede in ufficio. Si sentono lontani da un paese che si dimostra oggi intollerante e incapace di sguardi lungimiranti, chiuso a riccio come la capitale di un vecchio impero non è mai stata.
Questo referendum ha mobilitato i giovani assopiti. Li ha riportati a discutere, dibattere, interessarsi del loro futuro su un piano politico. Tastare con mano il conflitto generazionale interno nel loro paese li porterà a credere che solo in Europa, al di sopra dei bisogni interni di consenso elettorale, ci sarà spazio perché questo conflitto venga affrontato e forse risolto. È questa la cosa che mi rende felice oggi.
Questa notte nella famiglia con cui abito è nato un nuovo bimbo. Non ha ancora un nome, perché i genitori hanno aspettato fino all’ultimo prima di decidere. «Dovrei chiamarlo Remain», mi ha detto Olly, suo padre ieri sera, incontrandomi in cucina prima di correre in ospedale con la moglie Ruth. Ecco, io sono felice perché mi fido di Remain e dei suoi giovani genitori. E insieme, di tutti gli altri giovani europei scioccati da questa decisione.Ritorneranno.