Da Elisa a Emma e oltre: salvate la musica italiana dalla sindrome Electropop

L’elettronica è sfuggita di mano. La usano tutti, troppo, da Jovanotti fino ai Cani e ai Thegiornalisti. Il sintetizzatore è il nuovo marchio dell’omologazione sonora e culturale del pop italiano

Il 25 luglio di quest’anno si terrà all’Arena di Verona un evento importante, unico. Il concerto dei Kraftwerk col loro spettacolo 3D, ovviamente un mix di musica e arti visive, il tutto giocato sull’elettronica e la multimedialità. La band che vede oggi il solo Ralf Hütter alla guida, dopo l’abbandono del 2008 di Florian Schneider è attivo dal 1970, anno in cui venne fondata a Dusseldorf, contribuendo a dar vita e sviluppo al cosiddetto krautrock, mix di elettronica e rock, appunto, che ha fatto il giro del mondo.
Non è un mistero per nessuno, per dire, che i Daft Punk anche nell’immaginario sia andato a pescare a casa dei Kraftwerk, così come non è un segreto che, a distanza di quasi cinquant’anni, la band resti un punto fermo della scena elettronica mondiale. Scena davvero viva e multiforme, difficile da raccontare in un unico articolo, ma che vede da una parte personaggi come Brian Eno, creatore dell’ambient music, sempre negli anni settanta, dall’altra il dub, i sound-system giamaicani, via via fino al rap e a tutta la musica che dall’hip-hop ha contaminato il pop.
Nel mezzo la dance, che senza sintetizzatori e sequencer non sarebbe esistita, così come l’industrial, genere decisamente più ostico all’ascolto, ma anche il pop anni Ottanta, la house, la techno, la drum-n-bass, il trip-hop, la trance. Insomma, da che l’elettronica entrò in collisione con la musica, diciamo a metà dell’Ottocento, mai come negli ultimi decenni la sua presenza nel mondo delle sette note si è fatta letteralmente sentire

Oggi, anno del Signore 2016, non c’è artista che non flirti con l’elettronica, anche in assenza di una valida motivazione

Fin qui, direte voi, niente di nuovo. Tutto vero. Solo che questa faccenda dell’elettronica, diciamocelo apertamente, è davvero sfuggita di mano a tutti. Oggi, anno del Signore 2016, non c’è artista che non flirti con l’elettronica, anche in assenza di una valida motivazione, perché i suoni che si scelgono per un determinato brano, per un album, un senso ce lo dovrebbero avere. L’ultimo album di Richard Ashcroft potrebbe benissimo essere preso a esempio, e come quello una buona quantità di altri album di star internazionali, ma anche solo a voler guardare in casa nostra sembra evidente che l’electropop, così lo chiamano giustamente, è diventato talmente comune da aver attuato una vera e propria invasione pari a quella degli alieni in qualsiasi B Movie del periodo della Guerra Fredda, quando dietro gli alieni cattivi si nascondevano in realtà i russi.

Diamo uno sguardo alle ultime uscite, mettetevi pure comodi.

Sono finiti in maniera piuttosto clamorosa in ambito electropop tutti. Ma proprio tutti tutti. C’è finito Francesco Renga, che ha abbandonato l’idea sempre inseguita del bel canto per finire a giocare con suoni elettronici e ritmi moderni. È della partita Giorgia, ormai da tempo, anche lei finita per abbandonare certi virtuosismi vocali diventati veri e propri cliché per inseguire suoni che, altrove, stanno già passando di moda. Idem per Jovanotti. Anzi, Lorenzo Cherubini è stato uno dei primi a flirtare col genere, sempre attento a quel che suona intorno, spingendo poi gli altri a seguire le sue orme. E le sue orme le ha sicuramente seguite Marco Mengoni, che ha tirato fuori due album in cui scivola addirittura nell’EDM, manco fosse una Ellie Goulding qualsiasi.

Ovviamente l’ha seguito a ruota Francesca Michielin, che sembra ricalcare pedissequamente ogni passo del cantautore di Ronciglione, tranne che nel successo di pubblico, e poco dopo anche Lorenzo Fragola, forse quello che ha giocato con quei suoni con più consapevolezza, per scelta, non per moda, ma sicuramente con meno successo.
Idem per Emma, che però si è affidata a se stessa e al suo fonico, nel farlo, quindi ha prodotto un album a dir poco prescindibile. Ovviamente, se Emma si vota al genere, figuriamoci la sua amica del cuore Elisa, che con l’ultimo On, detto l’album del gattino puccioso, ha dimostrato come si possa prendere una carriera e buttarla nel cesso. Electropop a gogo, avanti si vada. Nek è rinato? Sì, è rinato. Ed è rinato grazie al suo ultimo album, Prima di parlare, presentato fortunatamente al Festival della Canzone Italiana di Sanremo 2015, con Fatti avanti amore, piazzatasi al secondo posto ma poi campione in radio e ai botteghini, e con la cover di Se telefonando, entrambe in chiave electropop, entrambe prodotte, come il resto del lavoro, dal maestro Luca Chiaravalli, uno che della materia ne mastica e si sente. Electropop in grado di ridare vita a una carriera apparentemente spenta, quindi. E non solo. È electropop anche l’ultimo di Annalisa, da poco uscita con Se avessi un cuore, sua prima esperienza in questo ambito, portato a casa con eleganza e competenza. Addirittura Luca Carboni, mica il primo che passa, si è votato all’electropop, con Pop-up, suo ultimo lavoro, traineto dalla hit Luca lo stesso. Grande electropop, nel suo caso, ma pur sempre electropop. Poi, vabbeh, ci sono i vari Alessio Bernabei, Madh e compagnia cantante, gente di cui, si auspica, non avremo più memoria a breve. Anche a guardare al famigerato mondo indie la situazione appare molto simile, con tutte le variabili del caso, leggi alla voce sciatteria, I Cani, Lo Stato Sociale, Thegiornalisti, tutti lì, a fare quella roba lì, male, ma pur sempre quella.

Dietro molte, se non tutte queste produzioni c’è proprio lo zampino fatto con lo stampino di Michele Canova, che ha messo mano ai lavori dei vari Renga, Giorgia, Jovanotti, Mengoni, Michielin, Carboni

In realtà, però, tutto questo, almeno da noi, è partito da Tiziano Ferro, e dal suo produttore Michele Canova. È stato lui a portare in Italia, copiato di sana pianta dagli USA, l’electropop di chiara matrice black, e da lì è cominciato tutto. Anche perché, a ben vedere, dietro molte, se non tutte queste produzioni c’è proprio lo zampino fatto con lo stampino del buon Canova, che ha messo mano ai lavori dei vari Renga, Giorgia, Jovanotti, Mengoni, Michielin, Carboni. Il tutto proprio mentre Ferro, probabilmente pentito del danno fatto, si dice stia passando allo swing, con un album di standard che è uno dei rumors più in voga di questi tempi.

Insomma, tutti vogliono suonare elettronici.
Tutti vogliono suonare contemporanei.
Tutti finiscono per suonare uguali.

Tutti suonano uguali a come all’estero suonavano un paio di anni fa, su tutti basti l’esempio Lorde, per altro nata a novembre 1996, e la Michielin, nata a febbraio del 1995, strano caso di giovane emulo più vecchio della ancor più giovane matrice.
A questo punto, si suppone, chi imbracciasse una chitarra acustica e sfornasse un album, che so, alla Carmen Consoli prima maniera, vincerebbe tutta la posta. Bingo. Chi si affidasse a un pianoforte, a una batteria esile, rullante e cassa, a un basso elettrico, suonerebbe talmente diverso dal resto da risultare originale, manco fosse una tendenza nuova, ancora da venire.
Anzi, magari ci sarà qualcuno che penserà di suonare in acustico le tante canzoni electropop uscite negli ultimi tempi, come fece Johnny Cash con la Hurt dei Nine Inch Nails nella prodigiosa esperienza di American Recordings. Ecco, basta solo che qualcuno dei tanti nomi citati sforni una bella canzone, non dico un capolavoro come Hurt, ma almeno qualcosa che ci arrivi anche un minimo vicino e ci siamo, l’idea è lì, pronta da essere sfruttata.

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