«C’è il tripolarismo, cari», dice più o meno Renzi ai giornalisti nella conferenza stampa dopo il voto, spiegando certi risultati deludenti, e ha senz’altro ragione. E’ il tripolarismo che scassa il senso delle cose soprattutto dove il voto non è “di paese” ma cittadino o addirittura metropolitano.
L’Italia arriva ultima a questo schema a tre, che altrove è già da anni la croce delle classi dirigenti e dei sistemi politici: vedi la Francia, che combatte da un ventennio contro i successi elettorali lepenisti, e si salva ogni volta in corner grazie alla convergenza destra/sinistra per fermare i barbari alle porte. Ma persino i maestri francesi del doppio turno sembrano in affanno nel loro fortino.
Per non parlare di altri pezzi di continente: l’Austria ha dovuto affidare ai Verdi la sua stabilità presidenziale (e chissà cosa succederà alle politiche). La Gran Bretagna rischia addirittura di uscire dall’Europa per l’affermarsi della “terza forza” anti-Ue, spuntata come un drago dalle sonnecchianti dinamiche conservatori/progressisti.
La Francia combatte da un ventennio contro i successi elettorali lepenisti, l’Austria ha dovuto affidare ai Verdi la sua stabilità presidenziale, La Gran Bretagna rischia addirittura di uscire dall’Europa per l’affermarsi della “terza forza” anti-Ue
Insomma, se fino a un anno fa il doppio turno sembrava il miglior sistema per tenere a bada questi terzi incomodi anti-sistema, fermi nell’irrilevanza rumorosa, adesso la ricetta appare un po’ usurata. E i punti interrogativi si moltiplicano, checché ne dicano i fan del Nazareno, quelli che coltivano l’ottimismo del desiderio, unitevi e moltiplicatevi, accordatevi e sopravvivete.
Portare sui candidati di sinistra, oggi, voti di destra in nome della governabilità è operazione molto più ardua che in passato. La componente di protesta in entrambi gli schieramenti si è fatta larga, e si diffonde da tutte e due le parti uno spirito vendicativo assai simile alle dinamiche di curva, dove c’è tanta gente che paga l’abbonamento e non si perde una partita sperando nella sconfitta dell’allenatore che gli sta sul cavolo o del Presidente che non ha comprato il bomber che serviva.Scommettere sull’Italicum, che copia pari pari dal modello dei sindaci, e quindi sullo schema Nazareno, era ovvio quando la destra deteneva una sua forza nonostante la crisi del berlusconismo. Ma con la FI del 4 per cento a Roma, del 4,6 a Torino e sotto il 10 quasi ovunque tranne Milano e Napoli; con una Lega al lumicino ovunque salvo Bologna; con la destra di Fdi forte solo a Roma (dove comunque la lista è al 12 per cento, pochino), non ci sono sicurezze. Già è difficile trasferire voti da una parte all’altra, figuriamoci che calvario sarà in un futuro voto politico, dopo un primo turno pieno di amarezze, recriminazioni, delusione nella parte perdente.
I ballottaggi nelle città saranno un test anche per questo, e vedremo come andrà. Tuttavia, al posto di chi guida la corsa, comincerei a pensare a un Piano B, perché il Piano A, la strategia incardinata sul patto dei partiti di governo contro i partiti di lotta, rischia di obbedire alla solita eterogenesi dei fini: tanta fatica, tanta furbizia e abilità, tanto sangue versato nel costruire maggioranze parlamentari e produrre una legge che imponga la governabilità e la vittoria delle forze tradizionali “comunque vada”, per ottenere il risultato opposto a quello che volevi.