È stata annunciata come una vittoria definitiva. Riconquistata palmo dopo palmo con un’operazione d’attacco durata circa un mese (era cominciata il 23 maggio), la città di Falluja sarebbe stata liberata, mettendo in fuga le milizie dell’Isis. L’esercito iracheno, guidato dal generale Abdul-Wahab al-Saadi avrebbe guidato con il supporto non trascurabile dei bombardamenti americani, si sarebbe impadronito della città il 26 giugno. L’ultimo bastione dello Stato Islamico a cadere è stato il distretto settentrionale di al-Julan. Ora la città può dirsi, cone le parole del generale “completamente liberata”.
La notizia, riportata subito dalla televisione irachena al-Iraqya e rilanciata dalla Cnn su tutti i mezzi di informazione mondiali è senza dubbio molto buona. È da due anni, cioè da quando la città era caduta nelle mani dell’Isis, che il governo di Baghdad (la città, non al-Baghdadi) ha cercato di riprendersela.
Non è stata una passeggiata, finora. E nemmeno adesso si può dire che il peggio è passato. Anzi. Come fanno notare qui, prima di tutto ci sono problemi con le milizie sciite. Secondo alcune testimonianze non avrebbero risparmiato un trattamento violento contro chi fuggiva dalla battaglia, e nemmeno con chi collaborava con il califfato. E poi c’è un problema che si può formulare con le antiche parole di Lenin: che fare? È difficile stabilire chi dovrà occuparsi, almeno nei primi periodi, del governo della città. Gli Usa hanno assistito dall’alto l’avanzata dei militari iracheni. Se ne andranno? I soldati sono entrati, lasceranno mano ad altri? Gli alleati cosa faranno? Ci pensa la polizia federale? Le incognite, insomma, sono ancora tante. Compreso lo Stato Islamico, che forse è stato davvero polverizzato, ma le cui polveri sono ancora in tutta l’area, pronte a colpire ancora.
Le immagini di ciò che è rimasto e delle persone sfollate dalla città.