Il sacrosanto fascino di Ambra, e del lolitismo

Non è la Rai occupava il palinsesto pomeridiano assieme alla sua presentatrice che arriva in testa alle classifiche con un motivetto pop più forte del grunge, di Berlusconi e Bukowski: "T'appartengo"

La notizia del giorno è che T’Appartengo di Ambra è entrata in classifica, su iTunes e in quella dei vinili. Oggi. Nel giugno 2016. Quando Non è la Rai, che a settembre festeggerà 25 anni di vita, è diventato talmente vintage da essere tornato di moda. Quando si sta quasi smettendo di citare il famoso auricolare di Ambra, per altro a sproposito, quando si vuole dire che qualcuno parla teleguidato da qualcun altro. Quando Ambra, quella di T’appartengo, appunto, è da anni diventata altro, quella che si è spostata al cinema, direttamente vincendo il vincibile con Saturno contro e poi continuando a ottenere buoni successi con film su film, passando dal cinema d’autore a quello più semplicemente commerciale. Oggi. A ventidue anni, giorno più giorno meno, dall’uscita di T’appartengo, brano che divenne immediatamente un tormentone, come un po’ tutto quel che usciva da Non è la Rai, tutto quel che riguardava Ambra, che di Non è la Rai è stata regina assoluta, legittima sodale di Gianni Boncompagni, ideatore e ideologo del programma che divenne un caso: la tv fatta senza contenuti, senza protagonisti, con gli auricolari. Oggi, quando giugno volge al termine, il vinile di T’apparteno fa il suo trionfale ingresso in classifica, così come l’album omonimo su iTunes, richiamando ovviamente l’attenzione dei più. A partire dalla mia.

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Anche perché, confesso, è la prima volta che T’appartengo di Ambra attira la mia attenzione. Non per spocchia snob, o velleità radical chic. Anzi, penso che sarebbe molto più radical chic mettersi nelle fila di quanti si dicono estimatori di Non è la Rai, oggi. Il punto è che io, per questioni meramente anagrafiche, appartengo, sì ci tengo, se prometto poi mantengo, appartengo, dicevo, a quella minoranza di italiani che Non è la Rai non l’ha proprio visto, nonostante fosse già nato e consapevole dell’esistenza dei mezzi televisivi. Quando il programma è iniziato, venticinque anni fa, ero uno studente universitario nel fiore degli anni, preso da quel che stava succedendo nel mondo, specie nel mondo della musica. Dedito all’hardcore, inteso come genere musicale, stavo iniziando a flirtare col grunge, spinto dal traino naturale di gente come i Nirvana, i Pearl Jam, i Soundgarden. Avevo i capelli lunghi, lunghissimi, cosa che mi faceva confondere con Kim Thayil, il chitarrista della band di Chris Cornell. Per ben due volte, all’Isola nel Cantiere, mi hanno confuso con lui. Ecco, l’Isola nel Cantiere. Quello era, almeno a livello di immaginario, il mio mondo. Quello raccontato nelle canzoni dei Massimo Volume, miei compagni di studi. Quelli finiti dentro i libri di Silvia Ballestra, mia vicina di casa oggi.

Che ci fosse la televisione lo sapevo, ovvio, ma la cosa mi lasciava piuttosto indifferente. Il fatto che dentro la televisione ci fosse poi un programma con circa duecento ragazzine, tredicenni, quattordicenni, poco più, che passavano i pomeriggi a cantare in coro o a fare giochetti stupidi proprio non rientrava nel mio universo. Troppo giovane per cadere nel fascino del lolitismo, troppo vecchio per provare interesse per delle ragazzine da scuole medie. L’anno in cui è uscito T’appartengo, il 1994, successo assoluto con oltre mezzo milione di copie vendute, miriadi di dischi di platino, con conseguente tour mondiale di Ambra, diventata nel giro di pochissimo da ragazzina con l’auricolare a vera icona della nuova televisione, vincitrice del Telegatto come Personaggio dell’anno, era per me tutt’altro.

L’anno in cui è uscito T’appartengo, il 1994, era per me tutt’altro. Innanzitutto quello della morte di due miei miti, Kurt Cobain, che decise di uscire di scena infilandosi un fucile in bocca, e Charles Bukowski, morto per cause naturali, probabilmente indotte da una condotta di vita non esattamente naturali

Innanzitutto quello della morte di due miei miti, Kurt Cobain, che decise di uscire di scena infilandosi un fucile in bocca, e Charles Bukowski, morto per cause naturali, probabilmente indotte da una condotta di vita non esattamente naturali. Questo era il 1994. Questo e anche l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, delle elezioni vinte come bere un bicchier d’acqua, della manifestazione di un milione e mezzo di persone a Roma, per la manifestazione della Cgil, prima prova generale di reazione alla vittoria di Berlusconi stesso, primo tentativo di alzare la testa (tentativo senza seguito, è evidente, oggi). In quei giorni, mentre Ambra diventava una star, una di cui si parlava per strada come nei salotti buoni, io finivo sui monti dell’arceviese, entroterra marchigiano, per sentire discorsi di partigiani, allarmati per il ritorno al governo di un partito fascista. Cosa mi stavo perdendo, santo Iddio.

Mi stavo perdendo la leggerezza. Mi stavo perdendo il sacrosanto diritto a passare un paio d’ore al giorno a guardare giovani culi e giovani tettine muoversi dentro la televisione. Mi stavo perdendo musica leggera che non voleva far finta di essere altro e che, a distanza di venti e passa anni ancora quello è, musica leggera, ma leggera davvero.

Poi, così funziona la vita, a volte, Ambra l’ho conosciuta. Anche bene. Per motivi che con Non è la Rai nulla avevano a che fare. E per motivi che nulla avevano a che fare anche con il mio essere stato su quei monti dell’arceviese. L’ho conosciuta e ci ho anche lavorato, proprio nel suo ritorno dentro la televisione, per Stasera niente MTV. Io, unico del suo team di lavoro a non aver visto neanche un minuto di quel programma, e di conseguenza unico a non avere debiti di nessun tipo, nessun tipo di fascinazione o di parentela morale. Per me Ambra è quella con cui ho lavorato, una macchina da guerra determinatissima e capace di tirare dritto anche per diciotto ore di fila, quella che ho visto nei film, quella, soprattutto, che è fuori dallo schermo, qualsiasi tipo di schermo si tratti.

Mi stavo perdendo il sacrosanto diritto a passare un paio d’ore al giorno a guardare giovani culi e giovani tettine muoversi dentro la televisione. Mi stavo perdendo musica leggera che non voleva far finta di essere altro e che, a distanza di venti e passa anni ancora quello è, musica leggera, ma leggera davvero

Per cui, oggi, anno del Signore 2016, potermi godere T’appartengo in classifica mi sembra una seconda occasione di quelle che, in genere, non ti capitano mai nella vita. Oggi, per altro, sono anche in quella fascia d’età in cui, in genere, le ragazzine cominciano a avere un certo fascino per te. Sono un quasi cinquantenne, molti miei coetanei perdono la testa per le adolescenti o le post-adolescenti, si tingono i capelli, vanno in palestra, si vestono di colpo come se fossero i protagonisti di un video di Fedez e usano parole che neanche Elio e le Storie tese in una delle loro parodie. Ci fosse ancora Non è la Rai, forte del mio essere uno scrittore, seppur uno scrittore pop, potrei addirittura appassionarmene. Abbiamo tutti visto Dov’è Mario di Corrado Guzzanti, non è più necessario far finta di dare a certi atteggiamenti un’aura intellettuale. Possiamo serenamente scoreggiare senza metterci dietro una pretesa comunicativa. Probabilmente avrei fatto meglio a appassionarmene già allora, perché star lì a struggersi per Kurt, per Hank o a imparare a memoria i canti dei partigiani. Avrei incassato meno sconfitte dovute solo a un senso di appartenenza a qualcosa che, col tempo, si è dimostrata più labile di qualsiasi motivetto pop.

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